Uno degli aspetti più paradossali e divertenti della questione che Adriano Celentano ha voluto aprire con Famiglia Cristiana (e con Avvenire) è la straordinaria pretesa di dettare la lista degli argomenti di cui il “mio” settimanale dovrebbe occuparsi, o da cui dovrebbe astenersi. Il Molleggiato dice che non parliamo abbastanza di paradiso, dimostrando così di non aprire un numero di Famiglia Cristiana da tempo immemore.
Ma non è certo l’unico: un po’ di politici del centro-destra ci muovevano la stessa critica non appena criticavamo il loro Governo. Altri, anche semplici cittadini, ci criticano per il motivo esattamente opposto: non ci occupiamo abbastanza dei bambini che muoiono di fame nel mondo, ha sostenuto una scioccherella sulla pagina istituzionale Facebook del giornale, non sapendo evidentemente nulla degli infiniti servizi che negli anni abbiamo realizzato in proposito (tra l’altro, c’è un collega in partenza per il Sud Sudan…).
Insomma, non si capisce bene. Cantanti, comici, attori, guitti, politici e politicanti, atleti e pensionati sovrappeso, teste di cavolo di varia estrazione: tutti sono autorizzati a occuparsi di ciò che vogliono, ma Famiglia Cristiana dovrebbe occuparsi di ciò che dicono loro. Il tutto, tra l’altro, mentre in ponderosi articoli si rimesta l’eterno torrone della presenza dei cattolici nella vita sociale e politica, del loro ruolo, della necessità di vederli più partecipi, attivi e impegnati. I cattolici sì ma i giornali cattolici no. Questi dovrebbero parlare del paradiso, come se ciò che avviene in terra fosse a loro (e presumibilmente ai cattolici loro lettori) del tutto indifferente. Non è comico?
Sarebbe una barzelletta se il tutto non si inserisse in un quadro in cui l’intolleranza verso la Chiesa cattolica sembra crescere di giorno in giorno. Prendiamo la questione della pedofilia. Non mi metto nemmeno a discutere sui numeri. Non v’è dubbio che sia una questione drammatica per le vittime e decisiva per la Chiesa (un prete pedofilo non è un pedofilo qualunque), perché interpella i suoi criteri di formazione del clero (fin dai seminari) e la sua idea di giustizia interna. Ma perché la si usa come un randello contro la Chiesa tutta, senza riconoscere che Benedetto XVI, l’ultima volta qualche giorno fa, ha fatto giustizia di qualunque ambiguità, anche relativa al Codice di diritto canonico, affermando chiaramente che i casi di pedofilia competono anche alla giustizia dello Stato?
Idem come sopra per la campagna “Chiesa e Ici”. Una ben orchestrata sequela di bugie, mezze verità e dati sparati a casaccio ha fatto credere a tanti italiani che bastasse aprire una cappella in qualche angolo di un albergo per vedersi esentare dalle tasse. Facile, in un periodo in cui la crisi economica spezza la schiena a molte famiglie. Molto più facile che ragionare in modo pacato sui dati reali e riconoscere alle strutture della Chiesa cattolica un ruolo di supplenza dello Stato spesso decisivo in materia di Wellfare. Pensiamo al caso del San Raffaele: tutti hanno criticato l’operato di don Verzé, sottolineando a non finire il fatto che fosse un prete. Pochi hanno notato (o fatto notare) che l’intervento in solido del Vaticano ha permesso all’ospedale di superare la crisi fino ad approdare all’interno di un gruppo specializzato nella sanità privata. Salvando così il patrimonio di conoscenza e ricerca accumulato nel San Raffaele.
Si può essere atei, e ovviamente si può essere anche molto critici nei confronti del Vaticano, ma non si può non riconoscere in questi fenomeni un processo di imbarbarimento della vita pubblica in Italia. E la sensazione è che su questo terreno qualcuno faccia le prove generali per una spartizione del potere in un ipotetico dopo-Berlusconi.