PIANTATELA DI DIRE CAZZATE SUI GIOVANI

Kiefer Sutherland in "Lost boys".

Sto per compiere 55 anni ma una delle cose che fatica sempre più a sopportare è questa nuova mania di parlar male dei giovani. Anzi, più che parlar male, di sparare cazzate a titolo gratuito. Per moda, appunto. Qualche giorno fa ho sentito con le mie orecchie un illustre sociologo di “area cattolica” commentare così la storia di una ragazza arrivata da Torino a Milano per studiare, laureata a pieni voti in Filosofia, dottorato preso benissimo, ambizioni di ricerca ma inchiodata al solito contratto a progetto e all’aiuto dei genitori per campare: “Bisogna che i giovani siano più realisti nelle aspettative di lavoro. Chissà quanti giovani, nel 1943, avrebbero voluto fare i filosofi o gli artisti e invece sono dovuti andare in montagna a fare la Resistenza…”.

Kiefer Sutherland in "Lost boys".

Quel sociologo è poco più giovane di me e io ricordo distintamente che, alla mia e sua epoca, di aspiranti sociologi erano strapiene tutte le Università: però lui la carriera l’ha intrapresa ugualmente, cosa che invece oggi la ragazza di Torino farebbe bene a scordarsi. Per “realismo”. Il catalogo di questo sciocchezzaio l’aveva inaugurato il povero Padoa Schioppa, con la questione dei “bamboccioni”. Io, per esempio, potrei dire esattamente il contrario. Ho due figlie, una laureata e poi subito al lavoro, l’altra che ancora studia ma intanto lavora. Entrambe si sono trovate il lavoro (a tempo determinato, beninteso) per conto proprio, non mi hanno chiesto nulla. E di loro compagne e compagni che si adattano a un po’ di tutto, ne conosco tanti.

Poi abbiamo avuto l’elogio della precarietà, da Brunetta in sù e in giù. E l’elogio della precarietà è un tipico indice dell’italianità: tutti quelli che lo praticano si guadano bene dal far sperimentare un po’ di sana precarietà ai propri pargoli, ai pargoli dei parenti e persino degli amici. La precarietà è come il libero mercato: ottimo, ma che se lo godano gli altri. Oggi, infine, è arrivato un altro genio, tale Michele Martone, vice ministro al Lavoro e alle Politiche Sociali (pensa un po’…), secondo il quale chi si laurea dopo i 28 anni è uno sfigato.

Magari è vero, magari no. Mia figlia, quella che da anni studia e lavora, forse avrà la laurea da ultra-ventottenne, ma mi pare molto meno sfigata di un vice-ministro al Lavoro che si occupa di chi resta troppo all’Università, alla peggio comunque mantenuto dalla famiglia, e non di quel 28% di giovani (siamo ultimi in Europa, la nostra media è circa il doppio di quella dei 44 Paesi dell’Ocse) che in Italia vorrebbero lavorare ma non trovano uno straccio di posto. Un vice-ministro che, per la sua prima sparata pubblica, sceglie come bersaglio chi almeno l’Università la frequenta e non ha una parola di spiegazione gli oltre 2 milioni di Neet (Not in Education, Employment or Training, cioè che non lavorano né studiano), pari al 22,1% dei giovani italiani. Per essere chiari: l’Italia ha il numero di Neet maggiore nell’eurozona e il secondo in Europa, alle spalle della Bulgaria.

Ma quello che meno di tutto si capisce è perché tutti questi signori, e altri che si potrebbero citare, se la prendano con gli ultimi arrivati, cioè appunto i giovani. Tutto si può dire tranne che, se siamo in questo gran pasticcio, sia colpa loro. Gli scarichiamo sulle spalle uno Stato con 1.900 miliardi di debiti e ce la prendiamo con loro? Chi ha costruito questa società? Chi ha praticato questa politica? Chi non è stato capace di costruire un carcere decente, un treno un minimo veloce che non abbia prezzi assurdi, un sistema per aprire un’attività commerciale che non sia una corsa burocratica a ostacoli? Noi o loro?

L’altra faccia di questo scarica barile, praticato con ostinazione di chi dovrebbe avere più senso di responsabilità, sta nell’altra leggenda metropolitana del cavolo: è tutta colpa del Sessantotto, che è di nuovo come dire: è colpa dei giovani. Di quelli che lo erano allora. A parte il fatto che negli ultimi vent’anni ha comandato chi il Sessantotto lo detestava, va fatta un’altra considerazione: la mia generazione (ho 55 anni, vi ricordo) è quella che oggi occupa i posti di potere. E io, nel Sessantotto, avevo 11 anni. Non ne sentivo nemmeno parlare. Non sapevo che cos’era. Quando l’ho scoperto, era già tutto finito. Sono cresciuto con ben altri modelli e interessi. E come me milioni e milioni di italiani. Per favore, basta cazzate.

 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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