SARAJEVO, COSI’ SI UCCIDE UNA CULTURA

La "Haggadah di Sarajevo".

Se girovagando per Facebook capitate sulla pagina “Salviamo il Museo Nazionale di Bosnia ed Erzegovina”, non pensate a un miracoloso incrocio tra passato e presente, a un ricordo della guerra balcanica trasferito sul più trendy dei social network. E’ di oggi che si parla, con i mezzi di oggi.

Il panorama di Sarajevo.

Una dopo l’altra, infatti, le sette maggiori istituzioni culturali della Bosnia stanno chiudendo. Difficile peraltro continuare l’attività quando lo Stato non ti dà una lira e quel che hai in cassa non basta nemmeno a pagare la bolletta della luce. Così, si sono sbarrate le porte della Galleria Nazionale, in estate. Poi, nelle scorse settimane, una doppietta: prima ha chiuso il Museo Storico e poi la Libreria Nazionale. Adesso sta chiudendo il Museo Nazionale, fondato 125 anni fa e sopravvissuto al collasso dell’impero-austroungarico, a due guerre mondiali e alla fine del comunismo e della Jugoslavia. Eroicamente i suoi dirigenti chiudono un’ala per volta, cercando di resistere e sperando in un miracolo che li aiuti a conservare gli oltre 400 mila tra reperti e opere d’arte.

Nel Museo Nazionale è esposta la cosiddetta “Haggadah di Sarajevo”, uno dei più importanti reperti della cultura ebraica d’Europa. Vale la pena di spendere due parole su questo libro colmo di preziose miniature. Scritto e miniato nella Barcellona del Trecento, arrivò a Sarajevo attraverso l’Italia e la Croazia. Adesso è un libro fantastico, allora era un libro rivoluzionario: nel raccontare ed illustrare scene della Bibbia, infatti, rompe con ogni tradizione del tempo raffigurando esseri umani e mostrando la Terra come rotonda.

La "Haggadah di Sarajevo".

 

Nella storia più recente dell’Haggadah, due fatti rimandano per contrasto all’attuale, desolante situazione. Durante la seconda guerra mondiale, i nazisti organizzarono frenetiche ricerche per arrivare a impadronirsi del libro che, si dice, fu nascosto sotto il pavimento di una moschea del direttore del Museo, che era un cristiano croato, e così salvato. E quando il Museo riaprì, alla fine della guerra tra serbi e bosniaci, l’esposizione dell’Haggadah fu unanimemente considerata il segno della pace finalmente ritrovata, o comunque finalmente possibile.

Per niente. Al contrario, sulla “pelle” dei musei e delle galleria d’arte si combatte con i mezzi della politica la stessa guerra che si combattè con le armi fino al 1995, al prezzo di 100 mila morti. Gli Accordi di Dayton, peraltro contestati fin dal principio anche se siglarono la fine delle ostilità, prevedono la divisione del Paese in due entità: la Federazione croato-musulmana (51% del territorio e 92 municipalità) e la Repubblica serba (49% del territorio e 63 municipalità). Le due entità, pur inserite in un unico Stato, sono dotate di vasti poteri autonomi. La Presidenza dello Stato è collegiale (un serbo, un croato e un musulmano, che a turno, ogni otto mesi, si alternano nella carica di presidente). Ciascuna delle due entità ha un proprio Parlamento, mentre a livello di Stato operano una Camera dei rappresentanti  (42 deputati, 28 eletti nella Federazione e 14 nella Repubblica serba, ogni 4 anni) e una Camera dei popoli (5 serbi, 5 croati e 5 musulmani).

Dal punto di vista amministrativo, un puzzle di difficile soluzione. Dal punto di vista politico, un incubo. In poche parole, nessuno vuole pagare per una storia e una cultura che nessuno vuole condividere o sente condivisa. I serbi, in particolare, sostengono che non esiste una cultura “della Bosnia” ma una cultura serba e una musulmana. E per bloccare qualunque iniziativa basta davvero poco, con quel groviglio di Stato.

Che sia una vecchia storia lo dimostra il fatto che la Bosnia ed Erzegovina non ha un ministero della Cultura, e nessuna legge che preveda esplicitamente il finanziamento dei beni culturali. E per dire l’aria che tira: dopo le elezioni politiche del 2010, i sei partiti che si erano accordati per governare insieme impiegarono più di un anno per formare il Governo nazionale. In quel periodo continuò a “governare” il precedente Governo, che non riuscì nemmeno a far approvare la legge di bilancio.

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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