Sentivo bene quel grido mentre, a pochi giorni dal match, parlavo con Alì nella capitale della ex colonia belga, la repubblica detta Zaire (il nome locale del fiume Congo) sulla quale Mobutu regnava come un re spietato. Nella stanzetta dei massaggi, dentro lo stadio messo a nuovo per il match del secolo anzi del millennio, lui sdraiato sul lettino, Angelo Dundee, calabrese che di cognome vero faceva Merenda o giù di lì, il suo manager-confessore-guru, il giornalista italiano che stentava a capire l’inglese con il profondo “broad accent” del Sud del campione su cui operava un massaggiatore silenzioso. Avevo avuto lo straordinario privilegio di un’intervistona esclusiva grazie a Gianni Minà, collega/fratello, amico personale di Alì e di Dundee che mi aveva detto: “Nel nome di Gianni Alì ti riceve, nel nome di Dio e di Allah non chiamarlo mai Clay”.
Fuori dallo spogliatoio dello stadio strepitavano centinaia di giornalisti lì da tempo, il nuovo arrivato stava “dentro” con il campione troppo a lungo, stava sottraendo loro Alì alla brevissima quotidiana conferenza stampa di gruppo. Imbeccato da domande banali ma forse inevitabili su Roma nel suo ricordo di campione olimpico, Alì parlava e straparlava, diceva che Roma ai suoi albori aveva avuto un re negro. Quale? Annibal o Asdrubal, non so bene.
Annibale era cartaginese, arabo, e non è mai stato re di Roma. Gli feci l’elenco dei primi monarchi, anche Asdrubal non c’era. Mi intestardii e lui si infuriò, un paio di volte fece intendere che voleva alzarsi dal lettino e venirmi vicino per convincermi di quello che diceva. Dietro di lui Angelo mi faceva cenno di lasciar perdere. Lasciai perdere, e forse persi l’occasione di essere messso ko da Muhamadd Alì. O da Cassius Clay, a piacere.
Il negro aveva gettato nel fiume della sua città, Louisville nel Kentucky razzista, la medaglia d’oro vinta ai Giochi olimpici di Roma 1960 fra i mediomassimi, per protesta contro il mondo bianco che in un ristorante gli aveva negato il posto a tavola per il colore della sua pelle. Rischiò il carcere, fu sospeso dal mestiere di pugile per indegnità, venne riammesso al ring nel 1971, quando sul Vietnam molti statunitensi la pensavano come lui. E riuscì a riprendersi il titolo.
Cassius Clay ha disputato nella carriera professionistica, dal 1961 al 1981, 61 incontri, vincendone 56, 37 dei quali per ko. Se una sua vittoria (Liston, la mafia…) è dubbia, le sue cinque sconfitte sono dovute a casualità di pugni “riusciti” o ad anagrafe all’occaso. Il primo che lo ha decisamente, chiaramente sconfitto si chiama Joe Frazier, e infatti la rivalità fra i due, affrontatisi tre volte (2 a 1 per il Nostro) è leggenda. Cassius Clay esordì alla boxe “pro” il 29 ottobre 1960 nella sua Louisville, battendo ai punti in sei riprese un certo Tonney Hunsacker. L’ultimo suo match il’11 dicembre 1981, contro Trevor Berbick che vinse ai punti in dieci riprese. Ernie Shravers è stato, con Joe Frazier, l’altro che lo ha messo decisamente a terra.
Dal 1981 dello stop definitivo Clay-Alì patisce i dolori, i problemi e le umiliazioni del morbo di Parkinson, che lo ha mostrato tremolante e patetico, quando, ai Giochi di Atlanta 1996, toccò a lui l’ultima fiaccola, quella con cui accendere il tripode nella cerimonia inaugurale (e fu allora che gli venne dato il fac-simile della medaglia di Roma buttata in un fiume). Ha avuto quattro mogli, ha collezionato sette figli. Una sua figlia, Laila, ha fatto pugilato, è stata la migliore al mondo, ha vinto 25 incontri su 25. Adesso lui sta molto male, ha anche tanti vuoti di memoria, recita le poesie che scriveva quando era un re. È riuscito a scampare al destino di povertà che sembra attendere quasi tutti i pugili milionari, ha i soldi anche per una sua fondazione per la lotta al Parkinson.
di Gian Paolo Ormezzano
Leggendario giornalista sportivo (e non), Gian Paolo Ormezzano ha lavorato a Tuttosport (di cui è poi diventato direttore) e alla Stampa come inviato speciale. Collabora da tempo immemore con Famiglia Cristiana. Ha scritto libri. ha raccontato 23 edizioni dei Giochi olimpici (versione estiva e invernale), 28 giri d’Italia, 12 Tour de France, innumerevoli campionati mondiali ed europei di calcio, atletica, basket, nuoto. Tifa, inevitabilmente, per il Toro.