LE DUE ANIME DELLA NOSTRA BELLA ITALIA

Forse capita anche a voi. Guardo le prime pagine dei giornali in questi giorni, e mi stupisco di tanto stupore. Si scopre, che fare un mare di sacrifici non basta. Che gli dei misteriosi del mercato ancora non si fidano di noi perché, ohibò, un debito pubblico grande come il nostro (1.900 miliardi di euro) non ce l’ha nessuno. Così succede che per l’Italia il famoso spread (ossia la differenza di interesse che i nostri Buoni del tesoro decennali devono offrire per farsi acquistare rispetto ai Bund tedeschi) si ritrovi a 500 e più, mentre per la Spagna è a 341 e per la Francia a 105.

Ma scusate: se voi foste un investitore, vi fidereste di un tizio (l’Italia) che ha debiti enormi? Un tizio, per giunta, che non dà segni di ravvedimento e che, al contrario, negli ultimi vent’anni è stato capace di portare questo debito dal 94,7% del Pil (cioè della ricchezza nazionale) al 120%? Io non mi fiderei. Così come non mi fiderei di un chirurgo alcolizzato o di un commercialista con il vizio del gioco.

Il punto vero della questione, però, non sta nel sostantivo (debito) ma nell’aggettivo: pubblico. Perché gli italiani, di per sé, non sono inclini a far debito come, per dire, gli americani o gli spagnoli. Anzi: siamo un popolo di formiche, di risparmiatori. E’ vero, anche questa virtù è in calo: il tasso di risparmio nazionale lordo, nel decennio 1981-1990 ancorato a una media superiore al 22%, nel decennio 1990-2000 è sceso al 20,7%. Ma significa pur sempre che la nazione, nel suo complesso, e proprio mentre il debito pubblico cresceva, metteva “da parte” un quinto della ricchezza prodotta. Non da meno le famiglie. Il tasso di risparmio familiare nel decennio 1981-1990 era in media intorno al 22% del reddito lordo disponibile, cioè uno dei più alti al mondo. Nel decennio successivo (1991-2000) è poi sceso al 14%, che in ogni caso è molto.

Queste formiche giudiziose, però, credono solo nel privato. Il “pubblico”, per loro, non esiste. Non conta. Non li riguarda. E infatti: la Corte dei Conti stima in 60 miliardi di euro l’anno il costo della corruzione in Italia. Negli ultimi due anni, il Bel Paese delle formichine ha perso sei posti (dal 63° al 69°) nella classifica di Transparency International, l’organizzazione che misura la correttezza della vita pubblica. Siamo agli ultimi posti in Europa, seguiti solo da Grecia, Romania e Bulgaria.

E dell’evasione fiscale, che dire? In Italia è pari al 18% del Prodotto in terno lordo (Pil), peggio di noi solo la Grecia. E l’Iva, del cui aumento tutti si lamentano, viene evasa in media del 36%, peggio di noi solo la Spagna. Sono ancora dati della Corte dei Conti, roba vera. L’italiano medio, quindi, è sobrio e risparmioso con i quattrini suoi, mentre ritiene di poter tranquillamente scialaquare la ricchezza pubblica. Salvo piangere quando poi, come succede sempre e come succede adesso, gli tocca stringere la cionghia per reintegrare con la ricchezza privata quella ricchezza pubblica che ha allegramente bruciato.

Quindi, a proposito di bruciare, ecco il mio augurio, valido per Natale e per l’anno nuovo: che ci decidiamo a fare un bel falò con i libri di Machiavelli e Guicciardini e tutti i “pensatori” che ci hanno convinti che essere furbi è meglio che essere giudiziosi. Perché, anche se non fa fine, è vero esattamente il contrario. Buone Feste a tutti.

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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