Per anni ci siamo sentiti ripetere la favola che gli immigrati tolgono lavoro ai nostri giovani, evidentemente ansiosi di fare i pizzaioli, la badante o il muratore. Giova ricordare, ogni tanto, che le realtà è ben diversa. Per esempio con l’ultimo studio di Eurostat, l’istituto statistico della Commissione Europea, frutto di una ricerca realizzata a fine 2008..
Nell’Unione Europea a 27 Paesi, gli immigrati (cioè le persone nate in Paesi esterni alla Ue) formano ormai il 9,4% della popolazione. E la loro situazione socio-economica è ben lungi dall’essere paragonabile a quella degli europei di nascita. Per il 34% dei casi, gli stranieri di età compresa tra i 25 e i 54 anni che vivono e lavorano in Europa hanno titoli di studio e qualificazioni assai superiori a quelli richiesti dal lavoro che in effetti svolgono. Lo stesso dato tra gli europei si ferma al 19%. Andando a vedere Paese per Paese, lo stesso dato risulta particolarmente clamoroso in Grecia (stranieri super-qualificati nel 66% dei casi contro il 18% dei greci), Italia (50% contro 13%), Spagna (58% contro 31%), Cipro (53% contro 27%), Estonia (47% contro 22%) e Svezia (31% contro 11%).
Ma non basta. Solo in due Paesi dell’Europa a 27, cioè in Grecia e in Ungheria, il tasso di disoccupazione degli stranieri (sempre tra i 25 e i 54 anni) è più o meno simile a quello dei nativi. Molto netta la differenza, invece, in Belgio (immigrati disoccupati al 14% contro il 5% dei belgi), Svezia (11% contro 3%), Finlandia (11% contro 5%), Spagna (15% contro 9%), Francia (12% contro 6%) e Germania (12% contro 6%).
Per finire: il 31% degli stranieri che vivono e lavorano in Europa è a rischio di povertà o esclusione sociale, contro il 20% dei nativi. Livelli di rischio molto più alti per gli stranieri soprattutto in Belgio (36% contro 13%), Svezia (32% contro 10%), Grecia (43% contro 23%), Francia (34% contro 14%), Austria (32% contro 13%), Finlandia e Danimarca (31% contro 13% in entrambi questi Paesi).