A quanto pare (ma ne avremo certezza solo a marzo) sta maturando un accordo economico-finanziario tra 26 Paesi dell’Unione Europea con la Gran Bretagna esclusa. Possiamo dirlo? Evviva, era ora. Per l’una e l’altra cosa: per l’accordo, che ci voleva, e per la fine dell’ambiguità sulla Gran Bretagna, che con la Ue e l’ideale europeista ha sempre avuto poco a che fare.
Partiamo dall’accordo. Che ci volesse è fatto limpido e lampante. Dei 27 Paesi della Ue, a fine 2010 ben 14 hanno denunciato un debito pubblico superiore al 60% del Pil (Prodotto interno lordo, la ricchezza nazionale), la quota fissata nel Patto di stabilità sottoscritto da tutti nel 1999, al varo dell’euro. E secondo Eurostat, l’istituto statistico della Ue, sempre nel 2010, in tutti e 27 i Paesi Ue la quota di debito in carico ai Governi è passata in media dal 74,4% all’80% rispetto al 2009. Insomma: i governi europei sono carichi di debiti e stanno continuando a farne.
Nei 17 Paesi dell’area euro, il debito medio è passato dal 79,3% del 2009 all’85,1% del 2010. Ecco la classifica dei più indebitati:
1. Grecia (debito pari al 142,8% del Pil) 2. Italia (119%) 3. Belgio (96,8%) 4. Portogallo (93%) 5. Germania (83,2%) 6. Francia (81,7%) 7. Ungheria (80,2%) 8. Gran Bretagna (80%)
Al capo opposto della classifica, i Paesi meno indebitati d’Europa sono il Lussemburgo (18,4%), la Bulgaria (16,2%) e l’Estonia (6,6%).
In queste condizioni, le vie d’uscita erano solo due: andare ognuno per proprio conto e affrontare la tempesta ognuno a modo suo; oppure provare a pentirsi e darsi nuove regole. L’Unione Europea, per fortuna, ha scelto questa secondo strada. Il nuovo Trattato, che dovrebbe appunto essere firmato a marzo, in sintesi prevede:
A. i Paesi dell’euro non potranno incrementare il deficit più dell’ 0,5% annuo B. se l’incremento del debito annuo andrà oltre il 3% (che era la quota fissata nel Patto di stabilità del 1999), scatteranno sanzioni nei confronti del/dei Paesi trasgressori C. il fondo salva-Stati partirà entro luglio e sarà dotato di una “procedura di emergenza” per i casi d’urgenza: le decisioni potranno essere prese con la maggioranza dell’85% dei partecipanti e non sarà più necessaria l’unanimità D. i Paesi della Ue forniranno al Fondo monetario internazionale una “dote” di 200 milioni di euro per contribuire ai processi di stabilizzazione dell’economia globale.
Di fronte a questi impegni, il premier inglese Cameron ha risposto: “Noi non vogliamo aderire all’euro, siamo contenti di esserne fuori, come lo siamo di non fare parte della zona Schengen. Noi non vogliamo rinunciare alla nostra sovranità come stanno facendo questi Paesi. Noi vogliamo i nostri tassi di interesse, la nostra politica monetaria”. Legittimo, per carità. Ma è come dire: voglio partecipare a questa cena con 27 invitati ma voglio le mie posate, voglio decidere dove si mangia e che cosa si mangia, decido io a che ora e la disposizione dei posti. Chi di noi, se avesse un invitato simile, non lo inviterebbe ad andarsene a cena altrove?
La questione della sovranità, sventolata da Cameron come per anni dai retori nostrani, leghisti oppure no, è poco più di un trucchetto dialettico. L’ideale europeista prevede proprio quello: tutti rinunciano a un pezzetto di potere nazionale in vista di un vantaggio più grande. Com’è avvenuto, per esempio, con il trattato di Schengen per la libera circolazione delle persone e delle merci, che ha reso i commerci più facili e maggiore la libertà di movimento.
In realtà, Cameron ha scommesso sul fallimento dei nuovi propositi della Ue. Tra l’uovo oggi (difendere il settore finanziario inglese, la City e il suo contributo all’economia inglese) e la gallina domani (partecipare a un insieme di Paesi europei più seri e virtuosi e a una Ue più solida nel marasma economico, con i relativi vantaggi per l’economia), il premier inglese ha scelto l’uovo. L’interesse di noi italiani, al contrario, è avere domani la gallina e dopo domani tante uova.