E tre. Nel giro di pochi mesi Barack Obama è stato abbandonato da tutti i suoi principali collaboratori per quanto riguarda il Medio Oriente. Ieri se n’è andato Dennis Ross, 63 anni, da tre anni consigliere del Presidente per il Medio Oriente dopo aver ricoperto un’analoga carica durante la presidenza Clinton. Pochi mesi fa se n’era andato George Mitchell, 78 anni, rappresentante speciale degli Usa in Medio Oriente. E Dan Shapiro, 42 anni, è da poco diventato ambasciatore Usa in Israele dopo aver diretto l’Ufficio per il Medio Oriente del consiglio di Sicurezza Nazionale degli Usa.
Questo di Obama non è mai stato un team vincente, e infatti i risultati si sono visti. Mitchell e Ross (quest’ultimo di origine ebraiche come Shapiro) notoriamente non si sopportavano e per anni non si sono nemmeno salutati. Rinomate le loro liti dopo aver scoperto che l’uno o l’altro si era incontrato con i dirigenti israeliani o palestinesi all’insaputa del collega. L’apice del dissidio fu raggiunto nel novembre del 2010 quando Ross, in maniera del tutto autonoma da Mitchell, avviò con il premier israeliano una trattativa (vana) affinché Israele bloccasse gli insediamenti in cambio di una garanzia americana sulla propria sicurezza.
Ross era ritenuto più vicino alle ragioni di Israele, in particolare al primo ministro Netanyahu, Mitchell più sensibile a quelle dei palestinesi. Nè l’uno nè l’altro, però, sono riusciti a far fare un solo passo avanti alle cosiddette “trattative” tra le due parti. Diverso il caso di Shapiro: è un analista, un tecnico, non un politico. Ma la sua esperienza del settore non aveva molti uguali.
Al di là dei meriti e dei demeriti dei singoli, la loro “fuga” quasi contemporanea dagli incarichi di Governo suona di pessimo auspicio per il Medio Oriente. Pare infatti chiaro che, a un anno dalle elezioni presidenziali, Obama non abbia alcuna intenzione di metter mano a una questione delicata come la pace tra israeliani e palestinesi. Troppo potenti i gruppi di pressione filo-Israele negli Usa, gruppi che, paradossalmente, sono soprattutto cristiani, quindi influenti sul voto anche dal punto di vista numerico.
Purtroppo, l’azione o inazione americana è uno dei fattori del problema, capace di influenzare pesantemente la situazione sul terreno. E quanto a inazione, giova forse ricordare che quella dei quattro (tra poco) anni dell’amministrazione Obama, frutto di debolezza, si aggiunge a quella degli otto anni della presidenza Bush, frutto di intenzione. A quanto pare, la Casa Bianca si accontenta di aver messo mano al Maghreb (fomentando, aiutando e regolando le rivoluzioni in Tunisia, Egitto e Libia), di aver consolidato le monarchie del Golfo Persico (a cominciare dall’Arabia Saudita) e di essersi disimpegnata dall’Iraq.