PERCHE’ LA CINA NON SALVERA’ L’EUROPA

Ho il sospetto che i pazienti, lungimiranti e soprattutto cinici dirigenti della Cina osservino le nostre cose con un misto di divertimento e di disprezzo. Qualche tempo fa la Cina era il diavolo. Adesso preghiamo perché compri un po’ di Bot. Subito dopo, però, diciamo che dobbiamo cavarcela da soli e poi, alla fin fine,  questi cinesi, tante promesse ma poi a Grecia e Portogallo di quattrini ne sono arrivati pochi.

La sede di Parigi dell'Industrial and Commercial Bank of China.

La decadenza europea si vede anche da queste piccole o grandi isterie. La Cina ha effettivamente allargato la propria presenza nell’economia dei Paesi euro. E’ presente nella grande industria (dalle aziende minerarie inglesi a quelle telefoniche spagnole, dalla chimica norvegese alla meccanica svedese) ed è ancor più attiva nei mercati finanziari. Si calcola, infatti, che tra titoli di Stato, depositi e operazioni varie abbia investito 123,6 miliardi di euro in Germania, 95 in Francia, 80 in Gran Bretagna, 74 in Italia, 38 in Spagna, circa 20 in Grecia e 10 in Portogallo.

E’ poco? E’ tanto? Ma la domanda vera è: perché la Cina dovrebbe aumentare la propria esposizione in Europa? Le mosse di Pechino non sono mai improvvisate o emotive. Per capirle, vanno considerati alcuni fattori.

  1. La Cina è già molto esposta nei confronti degli Usa, di cui detiene circa il 22% del debito pubblico. Ovviamente è molto interessata a sostenere l’economia americana, che a sua volta è un polmone vitale per le esportazioni cinese, ma non a qualunque costo. Altrimenti, finirebbe per finanziare le proprie esportazioni, consumando le risorse valutarie (pari a 3.200 miliardi di dollari) che ha accumulato in questi anni. Risorse con cui deve anche sostenere lo sviluppo e la modernizzazione di un Paese per molti versi ancora arretrato.
  2. Vale per l’Europa lo stesso ragionamento. Per la Cina siamo un mercato, compriamo le loro merci: nel 2010, per esempio, l’Italia ha esportato in Cina per circa 9 miliardi di euro e importato dalla Cina per circa 29 miliardi. Pechino è dunque interessata a sostenerci ma non vuole versare i suoi quattrini in un pozzo senza fondo. E’ pensabile che i cinesi aprano il portafoglio e facciano gestire i loro miliardi da Governi come quello greco o il nostro? Pechino, semmai, chiede partecipazioni azionarie nelle aziende strategiche, e infatti in Italia si parla di Eni e di Enel.
  3. Energia, guarda caso. E cibo, anche se non da noi. La vera penetrazione cinese in Europa è cominciata da tempo ma segue altre rotte: quelle dell’Europa orientale. Dall’Ungheria alla Bulgaria, dalla Russia alla Moldova, i cinesi hanno stretto accordi che negli ultimi 10 anni hanno portato il valore degli scambi commerciali con l’Europa dell’Est da 3 a 40 miliardi di dollari.

La Cina, insomma, replica nell’Europa dell’Est la strategia applicata in Africa e in America del Sud. Ovvero, insediarsi nei Paesi che possono offrire a Pechino i due beni al momento più preziosi: l’energia (e i minerali) per tenere acceso lo sviluppo economico e i generi alimentari per nutrire il popolo più vasto del mondo. Da questo punto di vista l’Europa occidentale è poco attraente. Le grandi risorse, nell’uno e nell’altro campo, sono altrove.

Africa: nel 2000 fu stabilito il Forum per la Cooperazione Cina-Africa (FOCAC) proprio per incentivare le relazioni commerciali. Forse non è tutto merito del Forum ma l’interscambio, che nel 1950 valeva 12 milioni di dollari, è cresciuto fino ai 120 miliardi di dollari odierni. Sorpresa: con l’Africa la Cina è in passivo, cioè importa più di quanto esporti. E l’80% delle importazioni cinesi dall’Africa riguarda petrolio e generi alimentari. La Cina ha investimenti attivi in 49 Paesi africani, accordi economici bilaterali con 45 Paesi che godono di tariffe commerciali agevolate nei rapporti con Pechino. E, fatto che nessuno considera con la dovuta attenzione, tra il 2000 e il 2009 la Cina ha rinunciato ai crediti che vantava con 35 Paesi africani.

America del Sud: nel 2010 la Cina è diventata il primo partner commerciale del Brasile, prendendo il posto degli Usa. E’ anche il primo partner del Cile, il secondo di Perù, Costa Rica, Cuba e Argentina, il terzo del Venezuela. Le esportazioni verso Pechino sono cresciute del 1.153% nel decennio 2000-2010 e riguardano, come sempre, petrolio, minerali e generi alimentari.

L’Europa occidentale non ha petrolio e non produce generi alimentari in misura adeguata. Quindi per la Cina siamo e resteremo quasi solo un mercato. Se deciderà di aprire davvero i cordoni della borsa, Pechino lo farà solo in cambio dell’ingresso nelle aziende di punta, cioè per avere i segreti della nostra tecnologia. Nel frattempo, ci aiuterà a sopravvivere ma non ci tirerà fuori dai guai. Proprio come sta facendo con gli Usa.

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

Altri articoli sul tema

*

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Top