QUEL CHE VOGLIAMO DA QUESTA EUROPA

“La crisi finanziaria si è trasformata in crisi economica, quindi è diventata una crisi del debito sovrano. La fiducia è evaporata in primo luogo nel settore bancario, con la prima “fuga dai depositi” in oltre un secolo in Gran Bretagna nel settembre 2007. Poi il fenomeno si è trasferito all’economia reale, con un massiccio rinvio degli investimenti alla fine del 2008. Ora assistiamo all’incapacità dei Governi, almeno di alcuni, a far fronte ai loro obblighi”. Ecco il racconto della crisi globale nelle parole di Karel Lannoo, capo ricercatore del Centre for European Policy Studies di Bruxelles.

Gli operai delle acciaierie bulgare protestano e chiedono l'intervento della Ue. Il cartello dice: "Europa, qui governa la mafia, fermala!".

E’ una storia che conosciamo bene, compresa la fase finale del debito nazionale che la politica prima produce e poi non riesce più a controllare. A questo dramma in tre anni gli europei hanno reagito in modo diverso, segmentati dalla nazionalità e dalle categorie sociali. Ma sempre con una certa saggezza di fondo. Per dirne una: i cittadini dei Paesi nordici all’inizio dell’estate erano compatti nel ritenere ormai raggiunto e superato il “picco” della crisi. Dal 68% della Danimarca al 50% tondo della Bulgaria, passando per Estonia, Austria, Slovacchia, Svezia, Belgio, Olanda, Repubblica Ceca e Lussemburgo, e aggiungendo magari il 49% della Germania, l’opinione era che il peggio è passato.

Già molto meno ottimista l’Italia (43% di quel parere), per non parlare della Francia (35%), della Grecia (19%) o del Portogallo (15%). Non a caso, quindi, i Paesi del Mediterraneo erano assai meno ottimisti: l’ultima ondata della crisi, infatti, ha colpito proprio loro.

E poi, si diceva, le categorie sociali. Anche qui, un panorama prevedibile che, nello stesso tempo, la dice lunga sui meccanismi e sulle vittime della crisi. Il 51% dei manager e il 53% degli europei che si autodefiniscono “alti borghesi” condividevano il parere che il peggio della crisi fosse stato ormai superato. Solo il 34% dei disoccupati, il 27% di coloro che avevano dovuto ricorrere a prestiti per pagare i conti e il 31% di coloro che si autodefinivano “proletari” era invece dello stesso parere.

Su una cosa, però, secondo il sondaggio Eurobarometro 75 (Europeans’ Perception on the State of the Economy) pubblicato ai primi di agosto, i cittadini dell’Unione Europea avevano lo stesso parere: il ruolo centrale della Ue nell’uscita dalla crisi e le sue responsabilità in merito al percorso virtuoso da innescare.

Ecco alcuni dati significativi.

  1. Qual è l’entita politica o l’istituzione più attrezzata per agire contro la crisi economica? Risposte: la Ue per il 22% degli intervistati; i Governi nazionali per il 20%; il fondo Monetario Internazionale per il 15%; il G20 per il 14%; gli Usa per il 7%.
  2. Quali misure possono essere più utili per rispondere alla crisi? Sono andate oltre il 70% tutte le seguenti: un maggiore coordinamento delle politiche economiche dei Governi degli Stati membri (79%); un più stretto controllo della Ue sul denaro imvestito per salvare banche e istituzioni finanziarie (78%); un più stretto controllo della Ue sulle attività dei grandi gruppi finanziari (77%); un più importante ruolo della Ue nella regolazione dei servizi finanziari (73%).
  3. Contro la crisi chi ha agito con più efficacia, l’Unione Europea o i Governi nazionali? Il 44% ha giudicato “efficace” l’azione della Ue, il 38% ha dato lo stesso giudizio ai Governi nazionali.
  4. E infine: nel combattere la crisi economica globale, la Ue ha preso la strada giusta o quella sbagliata? Il 46% ha detto quella giusta, il 23% quella sbagliata, il 20% ha risposto “né l’una né l’altra” e l’11% non ha risposto.

Insomma, nel momento del bisogno l’Europa è ancora sembrata il posto più “giusto” per andare a rifugiarsi. Quello che i cittadini chiedono è, semplicemente, che l’Europa faccia l’Europa. Che faccia ciò per cui era nata, senza timidezze né incertezze. Speriamo che, prima o poi, lo capiscano anche gli Stati nazionali. Soprattutto quelli che hanno fatto dell’euroscetticismo un proclama politico, per poi andare a piangere a Bruxelles quando nessuno voleva i Buoni del Tesoro.

 

 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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