DALLA CINA ALLA LIBIA, LA STORIA E’ VIVA

Sono appena tornato da un viaggio in Cina, lungamente desiderato. E nel percorso di ritorno, sono stato accompagnato dalle immagini (giornali, Tv, computer negli aeroporti) della Libia che caccia Ghedddafi e incorona il Governo provvisorio degli insorti. Intanto in Siria si protesta e si muore, la Turchia del Governo islamista moderato ridimensiona il potere dei generali. E via, via, via…

Manifestazioni di Giubilo in Libia dopo la fuga di Gheddafi da Tripoli.

La Storia, quella appunto con la “S” maiuscola, quella che cambia la geografia e la vita dei popoli, si fa sotto i nostri occhi, insomma. E si fa in parte a nostro dispetto, a dispetto di quella parte di mondo che da almeno sei-sette secoli la Storia aveva imparato a determinarla e a gestirla. L’Europa pare sempre più vecchia e anchilosata, una signora artritica che agita inutilmente il suo bastone contro i giovani che sfrecciano in motorino. Gli Usa non sanno più da che parte voltarsi.

Ho sempre più la sensazione che il culmine della crisi del nostro mondo, che è assai più culturale e politica che economica, sia arrivato nel 1989 con la caduta del Muro di Berlino. Un fatto positivo, ovvio, ma che noi interpretammo in modo drammaticamente errato. Il pensiero post-Muro è stato dominato da due visioni, non a caso generate nelle università americane, di stampo reazionario. La prima è quella che sosteneva la “fine della storia” (il famoso saggio di Francis Fukuyama fu pubblicato nel 1992, ma come estensione di un lungo articolo già pubblicato nel 1989, appunto), ovvero: con la caduta del Muro di Berlino si aveva la clamoroso conferma della tendenza universale a raggiungere i criteri e gli standard della democrazia liberale di stampo occidentale. Idea bislacca, come dimostrano anche solo i casi di Russia, Cina e Turchia tutt’altro che inclini ad abbracciare la nostra democrazia, ma che serviva soprattutto a dire una cosa: abbiamo vinto.

Come i tifosi negli stadi , che cantano “solo noi, solo noi”, eravamo convinti di aver eliminato ogni concorrenza. Lo diremmo anche oggi? Anche mentre il Pew Global Attitudes Project analizza il sentimento di 22 Paesi e scopre che in 15 (compresi Francia e Gran Bretagna, e il 46% dei cittadini americani) è già ferma la convinzione che la Cina abbia sorpassato gli Usa come potenza leader nel mondo? Ragazzi, altro che fine della storia. Anche mentre il vice-presidente Usa Joe Biden vola a pechino a chiedere un po’ di comprensione e, soprattutto, di credito?

Joe Biden, vice-presidente degli Usa, durante la visita ufficiale in Cina.

L’altra forma del pensiero non conservatore ma reazionario, e direi disperatamente reazionario, è stata quella dello “scontro di civiltà”. Il libro di Samuel Huntington (scomparso nel 2008) fu pubblicato nel 1996 e servì da base filosofica alla presidenza Bush (2000-2008), cioè a uno dei periodi più disastrosi della storia degli Usa, conclusosi appunto con il raddoppio del deficit federale, il crollo del sistema bancario e la rovina economica della media borghesia americana. Anche l’idea di Huntington era autoconsolatoria e autoassolutoria: se le civiltà sono in ogni caso destinate a scontrarsi, tanto vale sparare per primi. Non sarà comunque peccato.

I risultati li abbiamo visti. Le guerre bushiste non hanno portato la libertà nel Medio Oriente. Al contrario, sono ora i cittadini del Medio Oriente a chiederla, e certo non nel nome di quell’islam radicale e violento che secondo Huntington, la cerchia di George Bush e la flotta di Fallaci di primo, secondo e terzo livello era l’unica espressione politica di cui la umma (comunità islamica) contemporanea fosse capace. Paradosso nei paradossi, che vale sia per Fukuyama sia per Huntington: l’appoggio di Europa e Usa è spesso andato non ai difensori della libertà, della democrazia e dei “valori” occidentali ma agli altri. In Bahrein e in Arabia Saudita preferiamo gli autocrati a chi chiede il voto libero, in Egitto i generali ai giovani che scendono in piazza, in Kosovo teniamo in piedi un regime mafioso, in Asia Centrale non parliamone, in Afghanistan…

Conclusione: chi si loda s’imbroda. Quando il Muro è caduto non abbiamo vinto noi. Hanno vinto i russi e i cinesi. E con loro quei popoli, dai brasiliani agli indonesiani ai turchi. Quelli che con il comunismo erano prigionieri e senza tornavano liberi, e quelli che senza il Muro potevano finalmente spaziare. Noi, che liberi e pieni di spazio eravamo già, abbiamo continuato a guardarci allo specchio.

 

 

 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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