Se il 45,7% degli italiani dice che “la disoccupazione” è il problema più grave del momento, e al secondo posto tra le sue preoccupazioni (13,2%) mette “la qualità dei servizi sociali e sanitari”, uno è portato a pensare che i principali organi d’informazione proprio di questo parlino. E invece no.
L’ultimo Rapporto dell’Osservatorio Europeo della Sicurezza (un’iniziativa di Fondazione Unipolis, Demos&Pi e Osservatorio di Pavia), relativo al primo semestre del 2011, dimostra, bilancino alla mano, che in Italia avviene proprio il contrario. Il caso classico è quello del Tg1, la testata giornalistica televisiva più seguita del Paese. Nel periodo in cui scoppiavano le rivolte nel Maghreb e in Medio Oriente, prendeva l’avvio la guerra in Libia e il Giappone era colpito dal disastro dello tsunami e dell’avaria della centrale di Fukushima, il Tg di Minzolini dedicava il 41% di tutte le notizie “ansiogene” (quelle, cioè, che in un modo o nell’altro riguardano la sicurezza) alla criminalità comune. Ricordiamo che la media europea di “spazio Tg”, per questo genere di notizie, è del 28%.
Se diamo un’occhiata più generale ai dati del Rapporto, scopriamo che tra il 23 aprile e il 13 maggio 2011, mentre in Italia impazzava la discussione sulla manovra economica e sulla gravità dei sacrifici da scaricare sui cittadini per “non fare la fine della Grecia”, i Tg reagivano così:
- TG1: criminalità 57,4% delle notizie – lavoro/condizioni di vita/risparmio 2,8%
- TG2: criminalità 60,7% delle notizie – lavoro ecc. 2,4%
- TG3: criminalità 23,2% – lavoro ecc. 15,9%
- TG4: criminalità 33,3% – lavoro ecc. 4,4%
- TG5: criminalità 65,7% – lavoro ecc. 2%
- Studio Aperto (Italia1): criminalità 91,7% – lavoro ecc. 0,8%
- Tg La7: criminalità 26,4% – lavoro ecc. 2,9%.
Naturalmente il problema non sta in questo o quel direttore. La vera questione sta nel rapporto tra stampa e potere e, in Italia, nel fatto che il potere (Silvio Berlusconi) è proprietario o controllore di gran parte dell’informazione televisiva del Paese. Spaventare la gente per governarla più facilmente è una tattica vecchia come il mondo. Per anni, sulla scia del vero terrore provocato dagli attentati dell’11 settembre 2001, un presidente vergognoso come George Bush ha terrorizzato a sua volta gli americani con lo spettro della violenza islamica. Ogni tre per due veniva annunciata una replica delle Torri, e con quella scusa sono passate guerre e provvedimenti più o meno liberticidi.
Anche Anders Breivik, lo stragista di Oslo, era cresciuto a pane e paura: quella dell’immigrazione islamica, su cui tanto hanno battuto i partiti norvegesi di destra, anche se poi i musulmani in Norvegia sono il 2,5% della popolazione.
L’Italia giornalistica che parla di criminalità anche se la gente soffre per la crisi economica è figlia di quella stessa Italia che ha demonizzato l’indulto del 2006 anche se la recidività dei detenuti liberati è stata inferiore a quella dei detenuti tenuti in carcere; che ha inventato nuovi reati e riempito ancor più galere che già scoppiavano; che ha distribuito pattuglie di soldati nelle città italiane, mettendo paura ai cittadini senza risolvere nessuno dei problemi legati all’ordine pubblico.
C’è però un elemento di consolazione: chi governa con la paura e non con le idee, prima o poi scoppia. L’unico rischio è che scoppi solo dopo aver rovinato il proprio Paese, come appunto fece Bush con gli Usa.
Concordo che il problema non sta in questo o quel direttore, però uno Studio Aperto in cui oltre il 90% delle notizie sono di criminalità è vergognoso. Specie se si considera il fatto che va in onda anche in fascia oraria protetta.