DOVE IL PETROLIO FERMA LA DEMOCRAZIA

Ci sono in Medio Oriente otto monarchie: sei nel Golfo Persico, cioè Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Kuwait, Oman e Qatar; e due nel Maghreb, cioè Giordania e Marocco. Tutte, in un modo o nell’altro, sono state scosse dal vento di protesta che da mesi soffia nel mondo arabo. Solo due, però, hanno reagito mostrando una certa disponibilità verso le richieste di maggiore democrazia uscite dalle manifestazioni popolari: Giordania e Marocco.

Pozzi di petrolio in Arabia Saudita.

Altrove sappiamo bene che cos’è successo. Nel Bahrein la repressione militare, che a un certo punto si è servita persino di truppe saudite, si è scatenata con decine di morti, rastrellamenti e pestaggi ai danni di gente che chiedeva la monarchia costituzionale. In Arabia Saudita l’intervento è stato preventivo, dopo che a inizio 2011 oltre 100 intellettuali avevano firmato un appello per chiedere riforme politiche, economiche e sociali, una monarchia costituzionale, la separazione dei poteri e una Costituzione. Il mondo intero si è rallegrato per il fatto che pochi giorni fa la protesta delle donne, alle quali è vietato guidare, non abbia provocato un’ondata di arresti.

Oman: proteste, morti e l’assalto al palazzo del Governo. Kuwait: proteste relativamente moderate, almeno rispetto agli altri Paesi, comunque rapidamente soffocate. Qatar: tensioni anche nel Paese di Al Jazeera, con richieste di maggiore democrazia e di dimissioni dell’emiro. Il tutto, però, rapidamente rientrato.

In Giordania e in Marocco, invece, il quadro è stato ben diverso. Vigorose le proteste, ma mai indirizzate direttamente contro la monarchia o i re Abdullah II (Giordania) o Mohammed VI (Marocco). E molto, molto più positiva la risposta delle autorità: in Giordania il re ha licenziato il Governo, ha varato un’ampia riduzione del carico fiscale per le categorie meno agiate e ha varato un programma di riforme. In Marocco, Mohammed VI ha deciso di cedere una parte dei propri poteri al capo del Governo, a sua volta scelto direttamente dai cittadini elettori, spianando così la strada a una monarchia parlamentare.

Mohammed VI, re del Marocco.

Come si spiega questa differenza tra nazioni ugualmente monarchiche, musulmane sunnite e arabe? C’è una sola spiegazione logica: il petrolio. Le monarchie del Golfo sono ricche di petrolio, quelle del Maghreb per nulla. Arabia Saudita, Bahrein e compagnia bella sono stati tacitamente autorizzati dagli Usa e dalle altre potenze (leggi Cina e Russia in primo luogo) a reprimere senza tanti complimenti i moti di piazza e a sbarazzarsi della richiesta di democrazia, in nome della stabilità del mercato del petrolio, così importante per le economie sviluppate. Giordania e Marocco sono stati lasciati a se stessi e all’inevitabile trattativa con la popolazione insoddisfatta.

Ancora una volta, dunque, il petrolio ha agito non solo come fattore politico (questo succede da quando fu scoperto il primo giacimento) ma come fattore politico di conservazione (e anche questo, per la verità, succede da sempre). Resta però il fatto che le monarchie del petrolio hanno impiegato quasi sempre molto male i proventi dell’oro nero. Il boom di incassi del boom petrolifero degli anni Ottanta fu investito soprattutto in acquisti all’estero, da Harrod’s alla Ferrari, una serie di investimenti speculativi che andarono ad arricchire le sterminate famiglie degli sceicchi.

Il boom degli anni Duemila (ricordiamoci che il petrolio ha sfondato quota 150 dollari a barile ancora nel 2008) è stato riversato in parte più consistente all’interno dei Paesi produttori ma con dinamiche che hanno ugualmente penalizzato le popolazioni locali.

Il grosso degli investimenti è finito nel settore immobiliare e nell’industria petrolifera, in speculazioni ad alto e rapido rendimento, che hanno dato lavoro soprattutto a personale specializzato di alto livello. L’agricoltura, il turismo e l’edilizia hanno avuto poco e comunque il grosso del personale è stato reclutato all’estero, soprattutto in Asia, tra gli immigrati a basso costo. Risultato: nelle monarchie del Golfo l’80% del personale dell’industria privata è straniero. Repressione o no, il problema è solo rimandato. Le monarchie di Giordania e Marocco, un giorno, potrebbero anche dovere la loro salvezza alle proteste di questi mesi.

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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