Da un lato autorità, attori, uomini di Chiesa, impegnati a ricordare il diritto-dovere alla solidarietà. Dall’altro una parte ancora importante di una classe politica incosciente, tutta presa ad agitare lo spauracchio delle “invasioni” e della “emergenza”. In ogni modo, insomma, la Giornata mondiale del rifugiato è stata celebrata, e in pompa magna.
Il culmine si è avuto in Italia, con la discesa a Lampedusa di Antonio Guterres, alto commissario Onu per i rifugiati, e della testimonial Angelina Jolie. Ed è giusto così. L’Italia è diventata lo snodo di alcune delle principali rotte battute sia dai migranti economici (quelli che cercano una vita migliore altrove) sia da coloro che fuggono davanti a guerre o disastri naturali. Il fatto che per le stesse rotte arrivino tanto gli eritrei oppressi dalla dittatura o i somali tormentati dalla Corti islamiche quanto i tunisini che sperano di sistemarsi in Europa ha aiutato i semplici cittadini a fare confusione e gli imbroglioni della politica a fare di ogni erba un fascio.
I tumulti del Medio Oriente e le guerra in Libia hanno fatto dimenticare l’obbrobrio dei respingimenti, quando Gheddafi era un nostro caro amico, disponibile per qualche miliardo di euro a cacciare nelle sue capienti galere tanto i rifugiati (protetti dalla Convenzione di Ginevra che in questi giorni compie 60 anni) quanto gli immigrati clandestini. Il numero dei secondi ha coperto il massacro dei primi.
Noi italiani, e con noi gli europei tutti, siamo molto svelti a parlare di emergenza. I dati, cioè la realtà, ci dicono il contrario. Il 31 maggio lo stesso ministro degli Interni Maroni comunicava che il flusso dalla Tunisia si era ormai fermato e che dalla Libia erano arrivate circa 18 mila persone, “per lo più provenienti dai Paesi subsahariani, eritrei e somali”. Tutta gente con ottime ragioni per chiedere asilo o protezione internazionale, e con buone possibilità di ottenerla. L’Italia ha 6o milioni di abitanti, l’Unione Europea 500 milioni: 18 mila rifugiati sono un’emergenza? E dove sono quelle orde libiche, addirittura milioni di persone, che alcuni nostri politici già vedevano aggrappate alle coste del Bel Paese?
Qualche altro numero per riflettere. Tra i Paesi europei, l’Italia è al nono posto per richieste d’asilo, che nel 2010 sono state poco più di 10 mila contro le 17 mila del 2009. In calo, cioè del 42,9%. Grazie ai respingimenti? Figuriamoci, la tendenza è la stessa ovunque: nei 44 Paesi più industrializzati del mondo le domande d’asilo nel 2010 erano il 42% in meno del 2001.
Tutto questo succede per una ragione sola. Tra i cinque principali Paesi d’accoglienza per i rifugiati, solo uno appartiene al mondo sviluppato. E’ la Germania, quarta. La precedono il Pakistan (per gli afghani), la Siria (per gli iracheni) e l’Iran. Quinta è la Giordania per i palestinesi. Sesta la Tanzania, poi Ciad e Kenya. Tra l’80 e il 90% dei rifugiati, in breve, trova accoglienza nei Paesi poveri e del Terzo Mondo.
E’ quanto succede anche oggi, basta accendere la Tv: siriani in fuga verso la Turchia o il Libano, libici nei campi profughi in Tunisia. A proposito: noi con 18 mila persona siamo “in emergenza”; la Tunisia ha accolto quasi 290 mila libici e altre 200 mila persone fuggite dalla Libia ma di altra nazionalità. Le migrazioni sono un fenomeno planetario ma ne stiamo scaricando il peso sulle nazioni più deboli. E’ un modo di affrontare il fenomeno? Davvero crediamo che questa tattica non ci presenterà mai il conto?