MUORE LA BONNER, FINISCE IL DISSENSO

Con la morte di Elena Bonner, moglie del dissidente russo e premio Nobel per la Pace (1975) Andrej Sakharov, scomparsa a Boston (Usa) all’età di 88 anni, si chiude l’epoca gloriosa del “dissenso” sovietico e trova fine una generazione di uomini e donne coraggiosi che seppero sfidare il sistema dall’interno. Donna dal carattere forte e deciso (a causa dei suoi interventi, i premi Nobel Sakharov e Solzhenicyn litigarono e non si rivolsero la parola per anni), la Bonner era nata a Merv (l’odierno Turkmenistan) in una famiglia di ebrei armeni, nel 1923. Subito dopo la sua nascita, la madre era stata costretta a fuggire dall’ospedale, portandosela dietro in fasce, perché i musulmani locali avevano minacciato di attaccare l’edificio in odio al regime bolscevico.

Una celebre immagine di Elena Bonner a Mosca con il marito Andrej Sakharov.

Georgyj, suo padre, comunista autorevole e membro del Comintern, fu arrestato e fucilato nel 1937 per “complotto contro lo Stato”. Sua madre fu invece mandata in un Gulag e visse poi in prigionia per 17 anni. Elena e il fratello maggiore Aleksej andarono a vivere a Leningrado (oggi San Pietroburgo) in casa della nonna. Nonostante quelle esperienze, la Bonner, finite le scuole superiori, si arruolò volontaria nell’Armata Rossa come infermiera. Prestò servizio per tutta la seconda guerra mondiale e, nonostante le ferite alla testa che le provocarono problemi alla vista poi durati tutta la vita, fu tra i reparti sovietici che conquistarono Berlino.

Il suo impegno attivo nel dissenso cominciò negli anni Sessanta, quando fu tra i promotori della Cronaca degli avvenimenti correnti, un samizdat’ (pubblicazione non autorizzata) che faceva appunto la “cronaca” di tutte le violazioni di regime alla libertà di parola e di pensiero. L’impegno politico le costò il primo matrimonio (con un compagno della Facoltà di Medicina, Ivan Semjonov, dal quale divorziò nel 1965 dopo aver avuto due figli, Tatjana e Aleksej) e le prime persecuzioni, soprattutto dopo l’aspra critica rivolta all’invasione sovietica della Cecoslovacchia (1968).

La Bonner con Sakharov a Gorkij negli anni dell'esilio.

Nel 1971 la Bonner sposò il fisico Andrej Sakharov, uno degli uomini che avevano creato la bomba atomica sovietica e che si era poi spostato su posizioni di aspra critica alla corsa agli armamenti, fino appunto all’ottenimento del Nobel per la Pace nel 1975. Dopo aver criticato l’invasione sovietica dell’Afghanistan (1979), Sakharov e la Bonner furono esiliati da Mosca e mandati in soggiorno obbligato nella città di Gorkij. Furono liberati da Gorbaciov nel 1989, con la perestrojka. Sakharov morì poco dopo ma la Bonner non smise mai di fare da coscienza critica del regime. Prima quello di Boris Eltsin (al centro della sua critica, la guerra in Cecenia), poi quello di Vladimir Putin. Nel marzo del 2010 la Bonner ha firmato un appello per chiederne appunto le dimissioni.

Con la morte della Bonner si esaurisce una vena particolare del dissenso sovietico: quella che non ha mai smesso di credere ai valori della democrazia e della pace né di guardare all’Occidente come il luogo in cui quei valori hanno trovato particolare e fecondo sviluppo. Una posizione assai lontana, per esempio, da quella di Solzhenicyn, teorico invece della “particolarità” del destino della Russia e della sua storica lontananza da quello occidentale. Di quel dissenso che, per semplicità, potremmo definire “filo-occidentale”, restano oggi poche tracce in Russia, quasi sepolte dall’ondata nazionalista degli anni di Putin. Anche per questa caratteristica, negli anni Settanta e Ottanta, la Bonner fu ripetutamente colpita da attacchi della stampa sovietica a carattere antisemita. La si accusava soprattutto di aver “corrotto”, con le sue origini ebraiche, il pensiero di Sakaharov, e di essere una spia sionista. Le insinuazioni provocarono un’ondata di critiche e di minacce che la costrinsero a trasferire negli Usa, per ragioni di sicurezza, sua madre, i suoi due figli e due nipoti. Elena Bonner sarà sepolta a Mosca accanto al marito.

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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