C’è un’analogia evidente, mi pare, tra l’eliminazione di Osama Bin Laden in Pakistan e la cattura di Ratko Mladic, il boia di Srebrenica. Il terrorista saudita fatto secco in una comoda villetta piena di amici e parenti, a pochi passi da un’accademia militare, in una città a soli 70 chilometri dalla capitale Islamabad dove, stando alle dichiarazioni di una delle mogli, viveva fin dal 2006; il criminale di guerra serbo arrestato nel villaggio di Lazarevo, a 80 chilometri dalla capitale Belgrado, nella casa di un parente che era già stata più volte perquisita.
Qualcuno può davvero credere che si tratti di un caso? Che i due ingombrantissimi personaggi siano riusciti a gestire una latitanza di quindici anni senza corposi aiuti? Che la caccia dei servizi segreti occidentali sia per tanto tempo andata a vuoto solo grazie all’abilità dei fuggitivi? Ovvio che no. Osama è stato a lungo protetto da settori importanti dell’Isi (Inter-Services Intelligence, i servizi segreti del Pakistan) e Mladic è stato coperto dai suoi ex colleghi dell’esercito, per anni restii a condannare le sue stragi.
Se è così, e non può essere altrimenti, anche la loro fine improvvisa non è casuale. I protettori di un tempo hanno cambiato idea, hanno mollato gli ormeggi. Osama e Mladic sono diventati sacrificabili, e sono stati infatti sacrificati. Questo ci consente alcune deduzioni. La prima è che le rispettive leadership, e gli “ideali” che le ispiravano, sono morte ancor prima dei personaggi che le incarnavano.
Osama era un ricordo, il terrorismo che pure ancora oggi colpisce nel suo nome segue dinamiche assai diverse: la umma (la comunità mondiale) islamica non è più il riferimento, i guerriglieri in Afghanistan e i terroristi in Pakistan colpiscono in nome di “interessi” nazionali, gli uni per cacciare lo straniero e dominare il Paese, gli altri per mantenere il predominio assoluto dell’Islam ma pur sempre all’interno dei confini del Pakistan. Del resto non gli importa nulla. E per questo attaccano le minoranze, prima fra tutte quella cristiana.
Anche Mladic era sopravvissuto a se stesso. La Grande Serbia si è sfasciata e il suo stragismo razzista (i bombardamenti su Saraevo, gli 8 mila trucidati a Srebrenica nel 1995…) ha semmai accelerato il processo, fornendo agli Usa (dell’Europa meglio non parlare…) ottime ragioni per intervenire. Ma non solo: le fosse comuni, le esecuzioni, i campi di concentramento in stile nazista, il razzismo… Mladic ha riportato in vita negli anni Novanta il peggio del peggio del Novecento. Pratiche orrende ma che oggi sembrano anche vecchie e crudelmente polverose. La Serbia ha lasciato l’ancoraggio con la Russia e aspira a integrarsi nell’Unione Europea. Mentre Mladic finiva in galera, al G8 di Deauville, in Francia, Obama, Sarkozy e Cameron discutevano del potere di Internet, del suo impatto economico e politico. Un kapò torturatore come Mladic che cos’ha a che fare con questo mondo, forse non tanto meno violento del suo ma molto, molto più raffinato?