DIAMO LA CITTADINANZA AI “SECONDA GENERAZIONE” O L’ITALIA MUORE

Scriviamo spesso, noi della stampa, che “l’Italia non è un Paese per giovani”. Alludiamo alla gerontocrazia imperante, al sindacato che protegge i garantiti e trascura i precari, a quell’enorme percentuale di giovani tra tra i 15 e i 24 anni che non studia né lavora (l’11,2% da noi contro il 3,4% della media europea), a quei 60 mila laureati che ogni anno se ne vanno all’estero in cerca di migliore fortuna.

Quel che dovremmo fare, invece, è cominciare a dire che “l’Italia è un Paese senza giovani”. I dati che Giuseppe Roma, direttore  del Censis, ha fornito alla Commissione Lavoro della Camera, parlano chiaro: negli ultimi 10 anni l’Italia ha perso 2 milioni di giovani (15-24 anni; erano il 28% della popolazione 10 anni fa, sono il 23% oggi) e altri ne perderà nei prossimi anni. Nel 2030 saranno il 21% della popolazione mentre gli “over 65” saranno il 26% del totale degli italiani.

E’ un quadro che corrisponde perfettamente al trend generale dell’Europa (che da qui al 2050, ha calcolato il Cnel, perderà 103 milioni di persone in età da lavoro) ma che fa ugualmente spavento. E’ il segnale di un Paese (e di un continente) che si è fermato. Fare figli è un investimento sul futuro: abbiamo smesso di investire, quindi abbiamo smesso di credere nel futuro. Così facendo, seghiamo il ramo su cui siamo tutti seduti.

La cosa più necessaria, chiaramente, è una serie di politiche familiari ben diverse da quelle attuali. O meglio: è necessaria una politica familiare qualunque, purché ce ne sia una, visto che attualmente non ne esistono. Se solo pensiamo che i fondi per le Politiche familiari sono stati tagliati del 71,3% negli ultimi tre anni… Ma se anche varassimo subito il “quoziente familiare” per un fisco meno ingiusto nei confronti delle famiglie con figli, se promuovessimo degli assegni familiari degni di tal nome, se riempissimo le città di asili e nidi, adottassimo delle politiche del lavoro “family friendly” e se le banche diventassero di colpo generose di finanziamenti con i giovani precari che vogliono metter su casa e sposarsi, gli effetti si vedrebbero comunque solo tra due o tre decenni.

Nell’immediato c’è una sola cosa furba da fare. Dire grazie agli immigrati che tengono alto il nostro asfittico tasso di natalità (9,18 nascite ogni 1.000 abitanti) e concedere in tutta fretta la cittadinanza ai cosiddetti “italiani di seconda generazione”, i figli degli immigrati che sono nati qui o sono arrivati qui molto piccoli. Su questa realtà si misura, tra l’altro, l’enorme distanza tra il pensiero politico che ha dominato gli ultimi due decenni e il più profondo e autentico interesse del nostro Paese.

 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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