EGITTO: SPARARE AI COPTI PER COLPIRE…

Il quartiere di Imbaba, al Cairo, è una roccaforte dei copti e dei cristiani in genere. Nel giro di qualche isolato si raggruppano cinque chiese copte e tre chiese anglicane. Inevitabile, quindi, che finisse in prima linea negli scontri tra i copti e gli estremisti salafiti che da mesi chiedono la liberazione di Kamilia Shehata. Si tratta della moglie di un sacerdote copto che, secondo una vulgata diffusa tra i musulmani, si sarebbe convertita all’islam e per questo sarebbe stata sequestrata nella chiesa poi attaccata.

Una manifestazione di copti egiziani al Cairo.

Un ennesimo episodio di violenza che rimanda alla discriminazione ai danni della corposa minoranza copta (il 9% degli 80 milioni di abitanti dell’Egitto), alla cancellazione di una parte importante della storia egiziana, alla pratica di una lunga dittatura (quella di Hosni Mubarak) che si è retta anche coltivando i pregiudizi e i rancori della maggioranza islamica. Viene però da chiedersi quale fosse il reale obiettivo degli strateghi islamisti che hanno lanciato una folla armata contro la chiesa copta.

Detto in altre parole: perché scontri come questi (12 morti almeno) non si sono avuti nelle settimane della rivolta di piazza Tahrir, quando la polizia non metteva il naso nelle strade? Perché proprio adesso, quando il rischio è assai più alto? Non dimentichiamo che il Governo, guidato dal primo ministro Issam Sharaf in nome e per conto della giunta militare, ha fatto arrestare più di 200 persone e ha annunciato che applicherà ai responsabili dei tumulti le leggi anti-terrorismo.

Usando i copti come facile capro espiatorio, i salafiti in realtà mirano ad altro. In particolare, all’accordo che potrebbe profilarsi tra le due forze oggi più influenti nel Paese: l’esercito e i Fratelli Musulmani. L’esercito si è preso sulle spalle la responsabilità del cambiamento, indicando a Mubarak la via dell’esilio e impedendo ai suoi più stretti collaboratori (per primo il generale Suleiman, per 12 anni capo dei servizi segreti) di uscire dalla porta per rientrare dalla finestra. Ma l’esercito è a propria volta un’élite, una casta: i suoi uomini sono dei privilegiati, sotto il suo controllo si trovano aziende di ogni genere e tutti e quattro i presidenti egiziani dal 1952 (da quando fu liquidata la monarchia costituzionale) sono usciti dalle sue file.

Nelle strade e soprattutto nelle campagne, invece, i Fratelli Musulmani contano di più. Nei giorni della rivoluzione di piazza Tahrir la loro leadership ha tenuto a mostrare moderazione e amor di patria. Ha appoggiato le decisioni della giunta militare. Una volta cacciato Mubarak, ha invitato i propri militanti a tornare alle case e al lavoro e a interrompere le dimostrazioni. Al referendum costituzionale del 19 marzo, promosso dal Governo provvisorio controllato dall’esercito, i Fratelli Musulmani si sono espressi per il “sì”, e il referendum è passato con il 77% dei consensi. Infine, hanno accettato senza batter ciglio la promulgazione di leggi (per prima quella del 30 marzo, che vieta i partiti costituiti su base religiosa o regionale) che sembrano più tipiche dell’Egitto di Mubarak che di quello attuale, che si vuole diverso.

Issam Sharaf, primo ministro egiziano.

 

Quello che si delinea all’orizzonte, insomma, è un accordo tra militari e Fratelli Musulmani per la spartizione del potere e per avviare l’Egitto sulla strada di uno Stato islamico che si vorrebbe moderato e che, nella migliore delle ipotesi, potrebbe seguire le orme della Turchia. Molti pensano che i generali, abituati a contare dietro le quinte, potrebbero mandare avanti l’attuale primo ministro, Issam Sharaf, farlo eleggere presidente e affiancarlo con un vice che, guarda caso, sarebbe un ex generale. Per esempio Sami Inan, attuale capo di Stato maggiore dell’Esercito. Ai Fratelli Musulmani andrebbero, in quel caso, ministeri e incarichi di prima grandezza.

Proprio questa prospettiva fa infuriare i musulmani legati all’estremismo. Al Qaeda, in uno dei suoi recenti pronunciamenti, ha denunciato i Fratelli Musulmani come “secolarizzati e falsamente fedeli all’Islam”. La loro alleanza con i militari è il vero obiettivo dei terroristi ma anche di coloro che agitano le pattuglie violente dei salafiti.

 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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2 Commenti

  1. fabio cangiotti said:

    Caro Fulvio, vedremo se davvero i responsabili verranno severamente giudicati, da un governo che per quel che si sa ha liberato i trucidatori dei turisti di Luxor e ha fatto rientrare dall’esilio i familiari degli assassini di Sadat. Intanto bisogna prendere atto che, caduto il dittatore, non è che le cose vadano troppo meglio per i copti, anzi sembrerebbe che l’ondata di libertà …liberi il mostro salafita. Se questi sono i frutti della primavera egiziana, è presto per dire. Ma l’inizio non mi sembra di più promettenti…

  2. Fulvio Scaglione said:

    Caro Fabio,
    vedremo, vedremo. Quando i salafiti hanno attaccato la chiesa copta del Cairo, i militari stavano ricostruendo quella bombardata a Natale, quando c’era ancora Mubarak. Mettiamola così: per il momento ai copti egiziani va molto meglio di quanto sia andata ai cristiani caldei dell’Iraq. Resto convinto che il governo egiziano non abbia alcun interesse, anzi, a “coprire” i musulmani estremisti. Spero di non sbagliarmi…
    Ciao, a presto

    Fulvio

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