DI GABRIELE SALARI
La prima bozza del decreto con cui il ministro dello sviluppo economico Paolo Romani voleva impostare una serie di tagli agli incentivi per lo sviluppo delle energie rinnovabili ha destato molte polemiche. Contro quell’ipotesi si erano ribellati non solo migliaia di comuni cittadini che hanno firmato l’appello “SoS rinnovabili” ma anche 65 parlamentari, in gran parte appartenenti ai partiti della maggioranza, che hanno rivolto un loro appello al Governo e persino Stefania Prestigiacomo, ministro dell’Ambiente. La Prestigiacomo, in particolare, ha chiarito che la bolletta elettrica degli italiani non è più cara che altrove a causaa degli incentivi alle rinnovabili, ma per altre voci presenti all’interno della “componente A3”.
Andiamo a vedere se è vero. Pare proprio che il Ministro abbia ragione. Nella bolletta degli italiani il costo effettivo dell’energia ammonta al 30% del totale, mentre troviamo un 22% per i servizi di rete, un 14% di imposte, un 10% di ricarichi degli operatori, un 8% di costi dell’acqua, un 11% di altri oneri e, infine, un 3-5% attribuibile alla cosiddetta componente A3.
In questa quota potremmo legittimamente immaginare che vengano finanziate le rinnovabili e sarebbe anche poco, visto che in Germania vi è destinato il 10%, ma le cose non stanno così. La componente A3 è un minestrone in cui le rinnovabili occupano il 69%. Di questo 69%, la metà esatta è assorbita dai Certificati Verdi ritirati dal GSE. Ovvero, gli imprenditori dovrebbero usare energia verde ed esistono dei certificati a questo scopo, ma se non sono abbastanza bravi da acquistare tutti quelli previsti, il costo di questo loro mancato impiego delle rinnovabili ricade sulla collettività.
Un 31% della componente A3 va poi a finanziare il sistema del Cip 6 che serve per incentivare soprattutto le cosiddette fonti assimilate, sostanzialmente un incentivo alle fonti fossili che, nonostante sia in esaurimento grazie allo stop stabilito dalla Finanziaria del 2007, nel 2010 pesava ancora per 1,2 miliardi di euro. Vi è poi una quota per le agevolazioni tariffarie previste per le Ferrovie, agevolazioni tariffarie a favore di 14 piccole aziende elettriche che producono elettricità sulle isole minori (in modo da tenere conto delle particolari difficoltà e dei maggiori costi di produzione sulle piccole isole), un finanziamento per le attività di ricerca e sviluppo, un bonus elettrico per le famiglie disagiate e i malati che necessitino di apparecchiature salvavita.
Tutte finalità giustissime, dalle Ferrovie ai malati. Ci si domanda, però, se debbano confluire proprio nella bolletta elettrica. E infine, ciliegina sulla torta: paghiamo in bolletta i costi per lo smantellamento (decommissioning) delle centrali elettronucleari dismesse (Latina, Trino Vercellese, Caorso e Garigliano), per la chiusura del ciclo del combustibile nucleare (riprocessamento all’estero del combustibile nucleare irraggiato) e per finanziare le misure territoriali stabilite per legge a favore dei siti che ospitano centrali nucleari e impianti del ciclo del combustibile nucleare.
Insomma, il conto del nucleare pesa eccome in bolletta, anche se non lo abbiamo più dal 1987, da quando fu abrogato da una serie di quesiti referendari. In maggio, con un altro referendum, decideremo se tornare a questa fonte energetica, per i cui costi, state certi, basta creare un’apposita nuova voce in bolletta. Bolletta ivata naturalmente, perché a sorpresa, scorrendo la componente A3 scopriamo che è prevista pure l’IVA. Bizzarro, ma nulla più stupisce.
di Gabriele Salari