SOFFIA IL VENTO LIBERO DEL MAGHREB

Il vento del Maghreb, la rivoluzione pacifica delle masse arabe in cui pochi avevano creduto, spazza gli angoli più remoti e imprevedibili. L’indeciso Abu Mazen, nell’Autorità palestinese, prova a cavalcarlo per mettere nell’angolo Hamas e convoca elezioni. In Iran la gente torna in piazza, la solidarietà con i popoli dell’Egitto e della Tunisia porta migliaia di persone sotto i gas della polizia e smaschera il bluff di Ahmadinejad, che pure aveva tentato di calcare il chador della rivoluzione islamica sulle laicissime proteste contro le dittature maghrebine. A Teheran la contestazione al regime è guidata da Mahdi Karroubi, ex speaker del Parlamento, e da Hossein Mousawi, ex primo ministro: gli ayatollah non possono farli passare per agenti dell’Occidente e l’Occidente non può spacciarli per fanatici dell’islamismo. In Libia, dopo settimane di silenzio minaccioso, la gente sfida le armi di Gheddafi (sghero a libro paga dell’Italia) e reclama più libertà.

Le recenti proteste dei giovani iraniani.

Le recenti proteste dei giovani iraniani.

Dal Marocco allo Yemen, dalla Tunisia all’Iran, la violenza è tutta a senso unico. Qualche innocua barricata in Egitto, dove peraltro l’esercito si è schierato con la protesta, ma ovunque solo fucilate contro cortei pacifici e bande di picchiatori scatenate dai dittatori in crisi, per le ultime crudeltà di regimi senescenti e incapaci. Ai tunisini e agli egiziani, agli algerini come agli iraniani basta, per metterli in crisi, la pura manifestazione dello scontento. E’ sufficiente sapere che esiste per distruggere qualunque rappresentazione di comodo. Che schiaffo, per il presidente Ahmadinejad, sentire il presidente turco Gul, proprio in quelle ore in visita ufficiale in Iran, commentare così: “Quando i leader non si curano delle aspettative dei loro popoli, finisce che la gente si muove da sola per realizzarle”.

In questa potente auto-rappresentazione di popoli che l’islam radicale e le dittature filo-occidentali hanno per decenni costretto all’auto-censura, c’è l’essenza di un’epoca segnata dalla globalizzazione. Il 33% della popolazione mondiale usa Internet, uno smart phone costa ormai poche decine di euro, la comunicazione dilaga e penetra ogni fessura di un mondo interconnesso. Si poteva davvero credere che le merci attraversassero i continenti e le idee no? Che i quattrini non avessero più frontiere ma gli stili di vita e i diritti civili sì? Che le persone disposte a rischiare la vita sui barconi del Mediterraneo non avrebbero prima o poi deciso di rischiarla ancor più in patria?

La democrazia è un destino ormai obbligato e la marea di ragazzi che ha riempito le piazze delle capitali maghrebine (in media, la popolazione di quei Paesi è fatta per il 45% di giovani sotto i 25 anni) l’ha capito prima di tanti presunti esperti. Cacciato Mubarak, gli egiziani già chiedono ai militari, che per sei mesi avranno il controllo assoluto del Paese, lavoro e salari migliori. In Algeria nessuno può più sopportare che il quarto esportatore mondiale di gas abbia un quarto della popolazione sotto il livello della povertà. E in Iran, la protesta popolare che aveva invaso la Rete con i messaggini di Twitter e ora torna a sfidare poliziotti e picchiatori, fa capire che un altro Iran è possibile, che il Paese forse più ricco di petrolio al mondo non può avere il 15% di disoccupati e il 20% della popolazione sotto la linea della povertà, solo per mantenere a forza di sussidi una pletora di parassiti di Stato e miliziani di regime.

Sono le questioni primordiali del buon governo, nulla di più o di meno. Ma sono anche le forze che da sempre muovono i popoli. Altro che l’islam radicale, per un decennio usato soprattutto per spaventarci qui, senza peraltro risolvere nulla là. Il vento del Maghreb ha fatto un po’ di pulizia anche dalle nostre parti. Lo “scontro di civiltà” se ne torna nel deposito delle idee fasulle e la realtà ci riappare nella sua terribile semplicità. Le persone vogliono vivere, amare, lavorare, crescere i figli in pace. Hanno una dignità e prima o poi la rivendicano.

Pubblicato sull’Eco di Bergamo del 15 febbraio 2011

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

2 Commenti

  1. fabio cangiotti said:

    Caro Fulvio, il vento della libertà e della democrazia soffia in quei luoghi e ricorda molto più il crollo del comunismo che il ’68 mi pare, a cominciare dalla stessa imprevedibilità e rapidità dello scorrere degli avvenimenti.
    Siccome però tutto nasce, come allora, dall’ afflosciarsi della economia di sussistenza di stato o meglio di regime, mi chiedo come farà l’Egitto. Perché l’Algeria ha il gas, l’Iran e la Libia hanno il Petrolio, la Tunisia ha il turismo e l’agricoltura, e via dicendo, ma l’Egitto cosa ha? Sono 80 milioni, non troppo abituati a lavorare, con qualche risorsa turistica (Sharm, le Piramidi, il Nilo) con una agricoltura peggiore di anni fa. Non ci sono strutture politiche e sindacali, e l’esercito è l’unica certezza, ma non può dare lavoro con una bacchetta magica. Serviranno ingenti aiuti occidentali. confidando che vadano a finire nelle mani giuste, perché l’unico partito organizzato è quello dei Fratelli Musulmani, che si sa dove parano. Non vorrei che finisse come con Hamas, ufficialmente fuorilegge, in realtà beneficato da enormi aiuti in denaro che provengono non solo dai Pesi Arabi ma anche dall’Occidente, col quale denaro (anche depositato all’estero) perpetuano il loro potere.
    Quali sono le tue previsioni per l’Egitto?

  2. Fulvio Scaglione said:

    Caro Fabio,

    mi sono concesso, in altro pezzo, la boutade del Sessantotto dell’islam un po’ perché mi piaceva e un po’ perché queste rivolte sono chiaramente opera dei giovani.
    E’ assolutamente vero che all’Egitto serviranno molto gli aiuti occidentali, ma non in misura superiore al passato. Gli aiuti, europei (e anche italiani, ho messo un pezzo con le cifre) o americani, erano imponenti anche prima, solo che finivano nelle mani della solita cricca. Basterebbe tenere il livello (magari un po’ meno per le armi e un po’ più per il pane) e cercare di accertarsi degli scopi per cui sono usati. Ho relativa fiducia nell’esercito, che (mutatis mutandis) potrebbe essere per l’Egitto ciò che fu per la Turchia.
    Comunque non c’è niente di facile o scontato. Come ha detto Tremonti (un po’ tardi), “la democrazia non si esporta come McDonald’s”. C’è però l’incredibile occasione di “infiltrare” un po’ di democrazia in Medio oriente senza guerre e con il favore della gente. Come dici tu, è il 1989 del mondo arabo.
    Ciao, a presto
    Fulvio
    fulvio

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