VENEZUELA: CHAVEZ HA VINTO MA HA PERSO

Tutto il mondo è paese. Quindi anche in Venezuela, appena concluse le operazioni di voto, tutti hanno cantato vittoria. Il presidente Hugo Chavez come i suoi oppositori radunati nella vasta ed eterogenea coalizione chiamata Mud (Mesa de Unitad democratica, ua ventina tra movimenti e partiti). In questo caso, però, hanno ragione entrambi: Chavez ha ottenuto la maggioranza relativa dei seggi (95 su 165) mentre il maggior numero di voti popolari (52%) è andato al fronte a lui avverso.

Hugo Chavez, presidente e capo del Governo del Venezuela.

Hugo Chavez, presidente e premier del Venezuela.

Un caso abbastanza raro, reso possibile dalle modifiche costituzionali introdotte a gennaio dal Presidente tramite il Parlamento da lui controllato, e i base alle quali gli Stati meno popolosi (dove il governo è più forte) hanno diritto a essere rappresentati quanto quelli più popolosi (dove invece è forte l’opposizione).

Questa, cioè cambiare le regole a proprio vantaggio, è una prima cosa che Chavez, con l’esito di questa tornata elettorale, non potrà più fare, avendo mancato l’obiettivo fondamentale: ottenere 110 seggi, cioè la maggioranza dei due terzi, per replicare il mandato in bianco già ottenuto nel 2006.

Un murale di propaganda anti-americana nella capitale Caracas.

Un murale di propaganda anti-americana a Caracas, capitale del Venezuela.

Alla luce del voto è possibile dire che il Presidente, al potere ormai da dieci anni, comincia a essere logorato dalla propria retorica. Ha promesso la rivoluzione, il riscatto dei poveri, il socialismo realizzato, la lotta alla globalizzazione. Ha realizzato quasi esattamente il contrario. Il Venezuela vive di petrolio, che da solo rappresenta il 90% delle esportazioni, il 50% degli introiti dello Stato e il 30% del prodotto interno lordo. Un fiume di denaro che ha finanziato innumerevoli programmi sociali ma non ha frenato l’inflazione (ormai oltre il 30%) né la disoccupazione (oltre l’8%, ma con quella giovanile al 28%) né la povertà: oggi il 37,5% della popolazione vive sotto la fatidica soglia dei 2 dollari al giorno, che nelle statistiche internazionali significano miseria.

In blu le riserve di greggio accertate, in arancione la produzione di petrolio di alcuni Paesi dell'America del Nord e del Sud.

In blu le riserve di greggio accertate, in arancione la produzione totale di petrolio di alcuni Paesi dell'America del Nord e del Sud.

Ma non basta. Il terzomondista Chavez fa affari soprattutto con il più capitalista dei Paesi, gli Usa, che contano per il 35,18% delle esportazioni e per il 23,66% delle importazioni. Della globalizzazione, che ha portato a solidi contatti economici con la lontana Cina, il Venezuela sopporta da tempo anche gli aspetti meno positivi. La cocaina prodotta in Colombia e smerciata in Europa transita per i porti e gli aeroporti venezuelani, con un incremento esponenziale della criminalità a cui nessuno sembra capace di mettere un freno.

Tutto questo non basta a rendere prossimo un cambio di governo, anche perché l’opposizione è frammentata e lo spettro del Mud va dai liberali di centro-destra di Accion Democratica ai neo-comunisti di Bandera Roja, passando per Movimiento al socialismo e una serie di formazioni politiche di ambito regionale. Da oggi, però, Hugo Chavez deve riflettere con maggiore preoccupazione sulle elezioni presidenziali del 2012 che, di fatto, si trasformeranno nell’ennesimo referendum sulla sua persona e sul suo operato. Il Presidente è un maestro dell’agitazione e della propaganda, tiene saldamente in mano i cordoni della borsa e ha dalla sua gran parte delle forze armate. Ha però un nemico sfuggente e silenzioso: gli astenuti. Domenica ha votato il 66,45% dei 17 milioni aventi diritto, cioè quasi il 10% meno che nel 2006. Che si tratti di “chavisti delusi” o di “oppositori potenziali”, quelli rimasti a casa sono per lui la vera minaccia.

Pubblicato su Avvenire del 27 settembre 2010.

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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