Credo di non essere stato tra gli ultimi, e proprio in questo spazio, a scrivere della gigantesca “operazione pulizia” sui preti pedofili avviata in Irlanda con la collaborazione delle autorità ecclesiastiche. Nel frattempo sono successe tante altre cose: lo scandalo si è allargato, ha coinvolto Paesi prima insospettabili (o almeno insospettati) come l’Olanda, la Svizzera e la Germania, presunte rivelazioni sono arrivate a lambire il fratello del Papa e lo stesso Benedetto XVI.
Qualcuno si è affannato ad accusare la Chiesa, e questo era in parte inevitabile. Altri si sono impegnati per giustificarla, con la pallida motivazione che anche in altri ambienti si pecca e si fa il male. Né l’una né l’altra cosa mi sembrano interessanti quanto notare la gigantesca e rivoluzionaria apertura al mondo di cui Benedetto XVI, a volte considerato un Papa “conservatore” o un teologo attratto più dai volumi e dai codici che non dalle cose degli uomini, si fa artefice impegnandosi a purificare la Chiesa.
Qualcuno ricorderà che questo Papa è lo stesso cardinale
Ratzinger che durante la Via Crucis del 2005, mentre Karol Wojtyla stava morendo, lanciò questo ammonimento: “Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che nel sacerdozio dovrebbero appartenere completamente a lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza! Quanto poco rispettiamo il sacramento della riconciliazione, nel quale egli ci aspetta, per rialzarci dalle nostre cadute! Signore, salvaci”.
Cinque anni dopo, di nuovo alla vigilia di una Pasqua, Benedetto XVI pubblica la Lettera pastorale ai cattolici d’Irlanda in cui non solo prende di petto il problema della pedofilia ma, in un certo senso, spalanca al mondo
le porte della Chiesa proprio nel momento in cui, per chi vuole, è più facile e meno costoso attaccare la Chiesa stessa. Ai religiosi che hanno peccato il Papa intima: “Dovete rispondere di ciò che avete fatto davanti a Dio onnipotente, come davanti a tribunali debitamente costituiti”.
E’ il riconoscimento non solo di un duplice piano di giustizia (quella divina, inarrivabile, e quella umana, laica o religiosa, indispensabile) ma anche di una profonda esigenza di giustizia. Il Papa vi fa riferimento almeno due volte nella sua Lettera. Al punto 2, quando scrive: “Considerando la gravità di queste colpe e la risposta spesso inadeguata ad esse riservata da parte delle autorità ecclesiastiche nel vostro Paese…”. Al punto 4: “Il programma di rinnovamento proposto dal Concilio Vaticano Secondo fu a volte frainteso e in verità, alla luce dei profondi cambiamenti sociali che si stavano verificando, era tutt’altro che facile valutare il modo migliore per portarlo avanti. In particolare, vi fu una tendenza, dettata da retta intenzione ma errata, ad evitare approcci penali nei confronti di situazioni canoniche irregolari. Al punto 7: “La giustizia di Dio esige che rendiamo conto delle nostre azioni senza nascondere nulla. Riconoscete apertamente la vostra colpa, sottomettetevi alle esigenze della giustizia, ma non disperate della misericordia di Dio”. E al punto 11: “Non si può negare che alcuni di voi (i vescovi, n.d.r) e dei vostri predecessori avete mancato, a volte gravemente, nell’applicare le norme del diritto canonico codificate da lungo tempo circa i crimini di abusi di ragazzi. Seri errori furono commessi nel trattare le accuse”.
Giustizia sia fatta, dunque. Anche a costo di scompaginare i ranghi di molte Chiese locali, di mettere in discussione sistemi e abitudini consolidati da lunghissimo tempo (“… tra i fattori che vi contribuirono possiamo enumerare: procedure inadeguate per determinare l’idoneità dei candidati al sacerdozio e alla vita religiosa; insufficiente formazione umana, morale, intellettuale e spirituale nei seminari e nei noviziati…), di offrire il fianco a un’eventuale aggressione da parte dei laicismo contemporaneo. E’ come se Benedetto XVI fidasse in una specie di solidità intima della Chiesa universale. Quella esemplificata, anche nella Lettera, dalla secolare partecipazione della Chiesa irlandese alle vicende del proprio popolo e dal suo contributo alo sviluppo della cristianità in generale. E’ una sfida gigantesca, affrontata da quel Papa che, secondo alcuni, dovrebbe soprattutto studiare. E magari tacere.