CASO CICALA, LEZIONE SU OSAMA E AL QAEDA

Il rinnovato ultimatum che il gruppo maghrebino (Aqim) di Al Qaeda ha diffuso per la liberazione dell’italiano Mario Cicala e della moglie Philomene Kabore, rapiti in dicembre in Mauritania, e per quella del cittadino francese Pierre Camatte, contiene una notizia buona e una notizia cattiva. Quella buona è che il rapimento si prolunga, quindi è possibile presumere e sperare che i terroristi non cerchino il colpo dello shock, com’è successo tante volte in Iraq o in Afghanistan, ma puntino a tener vivi gli ostaggi per trattare e ottenere una qualche forma di “riconoscimento” politico. La cattiva notizia è che i qaedisti maghrebini si sentono abbastanza sicuri da sfidare una lunga serie di Governi e Paesi (non solo quelli africani ma anche Italia, Francia, per non dire di Usa e Gran Bretagna, mobilitati da poco nello Yemen e comunque in allarme) assai più potenti di loro.

Una vecchia foto di Osama Bin Laden con un gruppo di miliziani di Al Qaeda in un campo di addestramento in Afghanistan.

Una vecchia foto di Osama Bin Laden con un gruppo di miliziani di Al Qaeda in un campo di addestramento in Afghanistan.

Questo conferma la caratteristica storica, e di certo la più insidiosa, dell’organizzazione fondata dallo sceicco Osama Bin Laden nei primi anni Ottanta, all’epoca dell’invasione sovietica dell’Afghanistan: la

Il generale Stanley McChrystal: già vice di Petraeus in Iraq, oggi comanda le truppe americane impegnate in Afghanistan.

Il generale Stanley McChrystal: già vice di Petraeus in Iraq, oggi comanda le truppe americane impegnate in Afghanistan.

capacità di infiltrarsi nei Paesi in crisi e di piegare (o cercare di piegare) ai propri fini i problemi interni di questa o quella nazione. In altre parole: l’obiettivo di Al Qaeda è sempre globale, cioè la lotta ai “nuovi crociati” e la battaglia campale contro l’Occidente e la sua cultura (dagli stili di vita alla pratica della democrazia) ma gli strumenti di cui si serve hanno sempre una base locale. Nel caso di Cicala e della moglie, per esempio, la Mauritania che è un Paese di faglia per eccellenza: molto povero (il 45% della popolazione vive con meno di 2 dollari al giorno), attraversato dal confine impalpabile ma turbolento tra il mondo arabo e quello africano, uno dei pochissimi Paesi a forte componente araba ad aver riconosciuto Israele.

Casi altrettanto esemplari, ognuno a modo suo, sono gli altri Paesi in cui Al Qaeda ha messo radici in tempi recenti: l’Algeria, dove i fondamentalisti islamici vinsero regolari elezioni, furono cacciati dall’esercito e scatenarono un’orrenda serie di massacri stroncati da un’altrettanto dura repressione; lo Yemen, unico regime repubblicano della penisola araba, fino a pochi anni fa ancora sfiorato dal demone della guerra civile; la Somalia, finita nelle mani dei guerriglieri islamici shabab dopo decenni di dittatura e di corrosione dei rapporti tribali. Situazioni nella sostanza analoghe a quelle che Al Qaeda seppe a suo tempo sfruttare in Afghanistan o nell’area di confine tra Pakistan e Afghanistan, dove ancor oggi Osama si nasconde.

Tutto questo ci porta a una conclusione: la battaglia contro il terrorismo islamico si vince a livello locale, intervenendo con precisione e intelligenza sulle situazioni particolari. Quanto Tolstoj diceva delle

Il generale David Petraeus, già comandante delle forze Usa in Iraq, oggi comandante di tutte le forze Usa di stanza fuori dai confini nazionali americani.

Il generale David Petraeus, già comandante delle forze Usa in Iraq, oggi comandante di tutte le forze Usa di stanza fuori dai confini nazionali americani.

famiglie (quelle felici si somigliano tutte, quelle infelici lo sono ognuna a modo proprio) si applica anche ai Paesi in crisi: per togliere spazio e fiato ad Al Qaeda bisogna pensare locale e spianare una per una le pieghe di cui l’organizzazione approfitta per nascondersi e colpire.

Se un errore è stato fatto, nel decennio scorso, è stato di rincorrere una soluzione globale, una ricetta universale, come se il fondamentalismo islamico fosse uno solo, come se gli shabab somali fossero uguali ai generali algerini e ai montanari afghani. Per questo, alla fin fine, le parole più sagge e le azioni più efficaci sono arrivate dai generali, Petraeus in Iraq e McChrystal in Afghanistan. Perché loro vedevano ogni giorno, sul campo, quante sfumature e quante differenze ci fossero.

Pubblicato su Avvenire del 7 febbraio 2010

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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