AL QAEDA CAMBIA PELLE MA NON SI FERMA

Uno scoppio, tanto fumo, un po’ di scintille, e una ferita alla gamba dell’attentatore, subito bloccato dai passeggeri seduti accanto a lui, mentre gli altri 250 viaggiatori del volo Amsterdam-Detroit nemmeno si accorgevano di quanto succedeva. Daremmo ad Abdul Faruk Abdulmutallab, 23 anni, nigeriano, la patente del killer di Al Qaeda? Difficile, così come fu difficile pensare al complotto internazionale quando il libico Mohamed Game, 34 anni, si fece saltare in ottobre davanti a una caserma di Milano, perdendo una mano e gli occhi e ferendo uno dei soldati che prestavano servizio di guardia.


     

Al Qaeda nell'immagine stampata nell'immaginario collettivo: Osama Bin Laden (a sinistra) con il suo luogotenente Ayman al Zawahiri.

Al Qaeda nell'immagine stampata nell'immaginario collettivo: Osama Bin Laden (a sinistra) con il suo luogotenente Ayman al Zawahiri.

      Al Qaeda, in anni ancora vicini, ha dato prova di ben altra organizzazione. Ha colpito dagli Usa all’Asia all’Africa, centrando obiettivi sensibili (grandi città, installazioni militari, luoghi frequentati da stranieri, ambasciate) con effetti devastanti e quasi sempre in modo da ottenere il massimo in termini di propaganda. In apparenza, nulla a che vedere con questi disperati, armati soprattutto della propria pulsione suicida, passati solo per caso (Abdulmutallab era stato catalogato dai servizi segreti americani come “collegato” agli ambienti del terrorismo ma i controlli sui voli internazionali non sono bastati a impedirgli l’imbarco) attraverso le maglie di società che restano pur sempre fortemente democratiche.

      Eppure l’attentatore nigeriano era un seguace dell’imam Anwar al Awlaki, uno yemenita stabilitosi negli Usa, animatore della moschea di Great Falls (Virginia) che nel 2001 era frequentata da tre dei kamikaze dell’11 settembre e poi anche da Nidal Malik Hassan, il maggiore dell’esercito che uccise 13 persone nella base di Fort Hood in novembre. L’imam Al Awlaki, inoltre, sarebbe stato ucciso nei giorni scorsi nello Yemen in un covo di Al Qaeda durante un’incursione delle forze aeree: incursione che, con tutto il rispetto per i militari yemeniti, ha di sicuro avuto l’appoggio dell’intelligence occidentale.

      Messi insieme tutti gli elementi, è forse possibile trarre alcune conclusioni. L’Al Qaeda che abbiamo in mente, centralizzata a livello strategico intorno a Bin Laden e ramificata per colpire ovunque, non esiste più: troppo alte e munite le barriere innalzate negli Usa, in Europa e in Asia, troppo grave la perdita delle basi in Afghanistan. Esiste però ancora una rete di centrali dell’estremismo che diffonde odio e riesce a produrre, di tanto in tanto, individui così influenzabili da essere lanciati come bombe umane contro i nostri Paesi.

      Sarebbe un grave sbaglio, però, liquidare così la questione. Incapace a competere con l’Occidente in Occidente (questo ci dice anche quanto sciocco fosse prendere sul serio i proclami sul nuovo califfato e diffondere il timore di una generale insurrezione antioccidentale dei musulmani), Al Qaeda non è per questo meno micidiale se affrontata sui terreni che le sono familiari e dove può sfruttare rancori vecchi e nuovi delle popolazioni locali. E’ il caso dell’Iraq e dell’Afghanistan, ma ancor più di Paesi dove il rapporto dell’islam con le culture locali è complicato e il risentimento anti-europeo o anti-americano addirittura precede il moderno fondamentalismo islamico. Per l’Asia si tratta dell’India (dove la minoranza islamica è trattata con durezza) e del Pakistan, dove le tribù del confine con l’Afghanistan sopportano a stento persino il potere centrale nazionale. In Africa lo Yemen ma soprattutto la Somalia, dove i guerriglieri islamici shaabab stanno producendo una replica dell’Afghanistan anni Novanta. Sono Paesi lontani e marginali, ce ne occupiamo poco. Speriamo di non dovercene occupare troppo in futuro.

Pubblicato sull’Eco di Bergamo del 27 dicembre 2009

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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