OBAMA MANDA PIU’ TRUPPE DI BUSH, NONOSTANTE IL NOBEL

obamaBarack Obama, annunciano i giornali americani, invierà altri 13 mila soldati in Afghanistan, in aggiunta ai 21 mila già mobilitati dall’inizio della presidenza. Data per buona la notizia (e comunque la Casa Bianca non spreca mai parole sugli spostamenti delle truppe), possiamo confermarci nell’idea che, pur essendo lui uno straordinario oratore, l’essenza del “metodo Obama” sta nel modo di prendere le decisioni più che in quello usato per giustificarle. E trarre magari qualche ragionevole conclusione. La prima cosa che viene alla mente è questa: molti temevano che il Nobel per la pace, assegnato quasi sulla fiducia, finisse per essere d’impiccio a Obama, spingendolo su posizioni più  consone più al premio da meritare che alle situazioni da risolvere. Ora sappiamo che non è così: presidente degli Usa e comandante in capo delle loro forze armate, Obama non rinuncia allo strumento della guerra quando la vede giusta e necessaria, come appunto nel caso dell’Afghanistan. Sarà bene ricordare che, a questo punto, la sua presidenza ha più soldati in azione in Iraq e Afghanistan di quanti ne ebbe quella di George Bush al massimo del suo bellicismo: 189 mila (124 mila in Iraq e 65 mila in Afghanistan) contro 186 mila (160 mila e 26 mila).


Poiché anche in America, come in Italia, Francia, Gran Bretagna e Germania, cioè nei Paesi più impegnati in Afghanistan e più colpiti dalle perdite, non mancano le pulsioni critiche e la tentazione del “tutti a casa” si fa sentire, la decisione di Obama di non cedere e, anzi, di aumentare l’impegno, conferma la sua inclinazione alle grandi mobilitazioni ideali, la sua tendenza a lanciare sfide che possono magari dividere gli animi ma intanto scatenano passione e provocano mobilitazione. E’ stato così anche per la riforma della sanità, e prima ancora per l’apertura delle indagini sulle torture da parte dei servizi segreti. Lo è in massimo grado con l’Afghanistan, in un Paese che al trauma storico della ritirata dal Viet Nam (risvegliato dagli attentati dell’11 settembre) oggi accoppia la stanchezza per uno stato di guerra che dura dal 2001 e non pare avviato verso la fine.
Dentro questa cornice, va analizzata la decisione specifica. Obama concede 13 mila soldati al generale McChrystal, comandante delle forze Usa in Afghanistan, che ne aveva chiesti 40 mila. Questo ci dice che Obama è convinto ma non tanto da formare cambiali in bianco, e comunque è ancora così sicuro di sé da non sentirsi “prigioniero” dei suoi generali, pure così preparati e onesti da essere stati i primi a lanciare l’allarme sull’esito delle operazioni da loro stessi guidate. Anche la caratteristica dei rinforzi è piena di significati: non marine o truppe di prima linea ma tecnici del genio, specialisti dell’intelligence, ricognitori, personale medico. Come a dire: non è la potenza di fuoco a mancare ma la capacità di piantare radici nel terreno, costruire rapporti con la popolazione, distinguere tra i nemici quelli che potranno solo essere vinti e quelli, invece, che possono essere  convinti o magari comprati.
Il comandante in capo delle truppe impegnate fuori dal territorio americano è quel generale David Petraeus, stratega del “surge” in Iraq, che dal 2007 fece rapidamente diminuire i livelli di violenza. Uno dei punti di forza della sua azione fu la capacità di trattare con i capi delle tribù sunnite fino ad allora alleate di Al Qaeda. Non ci sarebbe da stupirsi se il “teorema Petraeus” fosse ora adottato anche dal generale McChrystal. Vedremo col tempo. La buona notizia di oggi è che Obama crede ancora nella vittoria ed è pronto a scommettere che come lui ci credano anche gli americani.

Pubblicato su Avvenire del 15 ottobre 2009   www.avvenire.it

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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