LA GRECIA E LA LINEA DURA CONTRO GLI IMMIGRATI: UN FALLIMENTO

Negli stessi giorni in cui l’Italia varava la politica dei “respingimenti”, un altro Paese dell’Unione Europea manifestava un’analoga quota di rancore contro gli immigrati e di panico verso il fenomeno dell’immigrazione: la Grecia. La nazione che solo vent’anni fa accolse più di 600 mila albanesi, e che in seguito ha fatto posto a ridotte ma significative comunità di bulgari, romeni, moldavi, ucraini, georgiani e russi, si è quasi scatenata contro gli immigrati attuali: somali, pakistani, afghani, iracheni e sudanesi. Un vecchio palazzo di giustizia di Atene, dove vivono accampati oltre 600 di questi disgraziati, è stato preso d’assalto da gruppi di estrema destra, che si sono poi scontrati con gruppi di anarchici, lasciando decine di feriti sul campo.

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      Il problema della Grecia è grave, molto più grave di quello dell’Italia. La Grecia, infatti, ha meno di 11 milioni di abitanti e un tasso di emigrazione di 2,33 abitanti ogni mille, quindi fatica tantissimi ad assorbire i 146 mila immigranti illegali (100 mila nel 2007) del 2008. L’Italia, per fare un paragone, ha 60 milioni di abitanti e nel 2008 i clandestini sbarcati sulle nostre coste sono stati poco più di 30 mila, nostro record storico. E’ dal 2005 che la Grecia non rilascia più permessi di soggiorno provvisori ma, proprio come l’Italia con la Bossi-Fini, si è data una legge che, per dire il minimo, non contribuisce a risolvere il problema. Il clandestino sorpreso in Grecia, infatti, viene tenuto in custodia per 3 mesi e poi “condannato” a lasciare il Paese entro 4 settimane. Risultato nel 2008: 88 mila decreti di espulsione (nella foto sopra: un ufficiale della marina greca con due immigrate clandestine appena raccolte in mare), solo 18 mila espulsioni effettivamente realizzate. A poco serve, anche, la severità nell’esaminare le richieste di asilo politico: lo status di rifugiato è stato concesso in prima istanza (sempre nel 2008) a meno dell’1% dei richiedenti, e in appello all’11%.

      Tutto questo ci dice, secondo me, due cose. La prima è che la politica di chiusura delle frontiere è, di fatto, piaccia o non piaccia, impraticabile. Perché i poveri, i disperati, anche solo quelli che tentano in un modo o nell’altro di costruirsi una vita migliore, sono semplicemente troppi. E solo un ingenuo può credere che si possano spalancare le frontiere alle merci, ai quattrini, agli stili di vita, persino ai programmi tv, senza con questo automaticamente attrarre anche le persone. Soprattutto in un’epoca in cui tutti i progetti per aiutare lo sviluppo dei Paesi poveri sono falliti o non più finanziati dai Paesi ricchi.
      La seconda cosa è questa: avete fatto caso al colore della pelle? I greci hanno assorbito senza drammi, e nemmeno tanto tempo fa, tutti i migranti di pelle bianca ma non riescono a fare altrettanto con quelli di pelle scura o nera. Solo un caso? E noi? Perché provavamo tanta giusta pena per i kosovari oppressi da Milosevic e non ne proviamo alcuna per i somali oppressi dalle Corti islamiche?

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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