BERLUSCONI E PUTIN, DAVVERO E’ UN’AMICIZIA DA CRITICARE?

Uno dei rimproveri che più di frequente arrivano a Silvio Berlusconi è di essere troppo amico di Vladimir Putin. Anzi, di rivelare in questo il lato oscuro e antidemocratico della propria personalità. Rimbrotto che arriva da sinistra, da coloro che considerano Putin un dittatore, un agente del Kgb appena rincivilito, un massacratore di ceceni; ma anche da destra, da coloro che temono le ambizioni della Russia e molto hanno tifato per tutte le rivoluzioni antirusse, da quella della Rose in Georgia a quella Arancione in Ucraina.

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      Un’immagine diventata famosa: Putin (a sinistra) a Berlusconi nella dacia dell’allora presidente russo, con tanto di colbacco.

      Non sono un fan di Berlusconi ma questa è una critica di cui mi sfugge il senso. Intanto, confesso di non credere alle amicizie nella politica internazionale. Gli Stati non hanno ideali e nemmeno sentimenti ma solo interessi. E nel rapporto tra Putin e Berlusconi vedo una specie di gara tra furbi in cui ognuno gioca le sue carte. O credete che una serata in dacia e un bagno nel mare di Sardegna facciano fiorire, a quei livelli, nuovi e imprevisti affetti? Ma diciamo pure che Putin è un politico impresentabile, un killer della democrazia (non la penso esattamente così, ma fa niente). E allora? Che cosa succederebbe se il nostro Governo (qualunque Governo) decidesse di avere rapporti solo con i leader belli buoni e cari? Dovremmo anche smettere di comprare petrolio (e repressione degli immigrati) dalla Libia di Gheddafi e gas dall’Algeria, che non ha un regime di mammolette. Gli Usa non dovrebbero importare petrolio dal Venezuela dell’autocrate Chavez e nemmeno dall’Azerbaigian degli Aliev, che si passano la proprietà dello Stato di padre in figlio come nel Medio Evo, per non parlare degli sceicchi del Golfo Persico. E che dire delle relazioni che tutti coltivano con i generali della Nigeria, tanto per fare un secondo caso africano? E il Pakistan del golpista Musharraf, a cui tutti tenevano? E dei ferrei burocrati di partito della Cina, massacratori di uiguri, che facciamo? Li mandiamo a quel paese?
      Sono gli esempi che mi vengono in mente a botta calda, senza pretese di completezza. In realtà, da quando è venuta meno la competizione politica con l’Urss (a proposito: degli stabilimenti Fiat nella Togliattigrad sovietica, che cosa vogliamo dire?) s’è aperta un’altra gara, quella per il controllo delle fonti energetiche, ancor più cinica e aspra. Chi non ha risorse deve tenere buono chi le ha, non c’è scampo. Per quanto poi riguarda l’Italia, bisogna notare che la Russia non solo è il fornitore più accessibile e affidabile di petrolio e soprattutto di gas ma è anche un ottimo mercato per le nostre merci. Nel 2007, prima della grande crisi, il 94% delle nostre importazioni dalla Russia era fatto di minerali (gas, petrolio, coke, combustibile nucleare) mentre mandavamo lassù macchine e apparecchi meccanici (32,9% delle nostre esportazioni verso la Russia), tessuti e abbigliamento (14,8%), mobili (7,6%), cuoio e prodotti in cuoio (7,4%), metalli e prodotti in metallo (6,9%). E il mercato russo contava, da solo, il 2,6% di tutte le nostre esportazioni. Ancora nel 2008, il commercio bilaterale Italia-Russia valeva la bellezza di 26,6 miliardi di euro (fonte: Istat e Servizio Federale Russo di Statistica). Chiedete alle piccole e medie imprese, e agli operai che ci lavorano, se hanno voglia di rinunciare alle commesse russe.
      Per finire: certi ragionamenti, “ad personam” come le leggi che piacciono al Cavaliere, vanno presi con le molle. Per dirne una. Il gasdotto Nabucco (sponsorizzato dall’Unione Europea) è da molti considerato la versione “democratica” del gasdotto South Stream che nasce, invece, da una partnership italo-russa con la partecipazione della Turchia. Ma si è ormai capito che il successo del Nabucco dipenderà in misura decisiva dalle forniture di gas del Turkmenistan (bell’esempio di presidenza autoritaria) e dell’Iran (no comment). Per cui…

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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