La Cina alla conquista economica dell’Europa. L’immagine è suggestiva, mette il giusto brivido, fa giornalismo. Temo, però, che la realtà sia ancor più inquietante: la Cina è alla conquista politica del mondo. La prima definizione è spuntata in molti articoli dopo la seconda tappa (la prima a Parigi, con accordi economici del valore di 16 miliardi di euro, la terza a Londra) del viaggio europeo del presidente cinese Hu Jintao, quella di Lisbona. Lì Hu ha detto che il suo Paese è disponibile a dare una mano al Portogallo, dopo la Grecia la nazione più colpita dalla crisi economica.
José Socrates, il primo ministro portoghese, si è fregato le mani. L’ipotesi è che la Cina, approfittando delle proprie immense riserve in valuta (pari a 2.650 miliardi di dollari), rilevi una parte del debito sovrano del Portogallo, che vedrebbe così risolti in un colpo solo gran parte dei propri guai. Che cosa ci guadagnerebbe la Cina? Non certo una “partecipazione azionaria” nell’economia portoghese, troppo piccola per interessare davvero alla seconda potenza mondiale. Hu Juntao e compagni, però, metterebbero un piede in Europa e, soprattutto, nell’Europa comunitaria e nell’Europa dell’euro.
Per questo è più utile parlare di “conquista politica” dell’Europa. La Cina, d’altra parte, si è mossa in quest’ultimo decennio con grande astuzia e preveggenza. Nel passaggio di mano tra Bush e Obama avrebbe potuto infliggere un colpo pesantissimo agli Usa (e la Russia l’avrebbe volentieri aiutata) se solo avesse smesso di coprire il debito pubblico americano, di cui detiene il 20,8%, la maggior quota mondiale (secondo il Giappone con il 20,2%), per un valore di 847 miliardi di dollari. Invece ha continuato a comprare bond Usa, guadagnandosi un’influenza sulla Casa Bianca inedita nella storia contemporanea.
Altrettanto ha fatto in Africa. L’interscambio commerciale tra il continente e la Cina ha raggiunto quest’anno i 100 miliardi di dollari (più del triplo dell’India, per fare un paragone) ma è dal 2000 che Pechino corteggia Governi e dittatori africani attraverso il Forum on China-Africa Cooperation, che da un decennio tiene regolari riunioni ai massimi livelli. La prudenza e l’acutezza cnesi qui si sono colorate insopportabilmente di cinismo: mentre il G8 cominciava a pretendere che i regimi africani tagliassero gli sprechi e le ruberie e mettessero ordine nei conti, la Cina spargeva a piene mani prestiti milionari e si incaricava di costruire infrastrutture (strade, oleodotti, porti) per cui l’Occidente aveva pagato senza vedere queasi nulla. Per non parlare dell’appoggio concesso ai peggiori dittatori, purché fossero in controllo di Paesi con ingenti risorse naturali.
Vogliamo parlare dell’America Latina? Nel 2009, in poche settimane, la Cina ha raddopppiato il fondo di sviluppo in Venezuela portandolo a 12 miliardi di dollari, ha concesso all’Ecuador un finanziamento da 1 miliardo di dollari per costruire un impianto idroelettrico, ha concesso un “fido” all’Argentina per 10 miliardi di dollari e ha prestato alla compagnia petrolifera del Brasile oltre 10 miliardi di dollari. Oggi l’America Latina è il secondo partner commerciale della Cina dietro gli Stati Uniti.
Passo dopo passo la Cina costruisce il proprio network planetario, approfittando dei vantaggi della propria democrazia a scartamento ridotto (niente dimostrazioni o contestazioni, elezioni scontate, decisione rapide e senza opposizione) e della crisi epocale degli Usa, ma mettendo anche a profitto, con più astuzia degli altri, le mutate condizioni mondiali e i nuovi equilibrii che si sono creati dopo la fine del bipolarismo Usa-Urss. Il Portogallo potrebbe essere l’anello europeo di una catena sempre più solida e influente.