IMMIGRAZIONE 1: “VOLEVAMO BRACCIA, SONO ARRIVATE PERSONE”

    PUBBLICO QUI, IN SERIE, I MATERIALI DI UN’INCHIESTA SUL TEMA IMMIGRAZIONE CHE HO CURATO PER “FAMIGLIA CRISTIANA”. POCA IDEOLOGIA, MOLTI FATTI. RINGRAZIO  I COLLEGHI CHE CI “REGALANO” I LORO ARTICOLI. 

      Lo aveva scritto dieci anni fa: gli immigrati sono “utili invasori”. Il professor Maurizio Ambrosini, docente di Sociologia dei processi migratori alla Statale di Milano, si gira in mano quel suo libro di allora e ripropone il medesimo concetto: «Sono necessari, ma non benvenuti».
– Perché, professore?
      «Abbiamo voluto braccia e sono arrivate persone. Sono indispensabili, ne abbiamo disperatamente bisogno, ma resistiamo a riconoscere a loro cittadinanza sociale».
– Cioè l’economia li domanda, ma la società li respinge?
      «Guardi che è una mezza verità. L’immigrazione come fantasma inquietante e minaccioso è un’invenzione di chi cerca consenso per altri motivi. L’atteggiamento
della gente è più pragmatico, flessibile e disponibile, soprattutto verso le immigrate. Sono le famiglie, in sostanza, ad alimentare l’immigrazione irregolare, se hanno problemi di assistenza agli anziani o ai bambini; e sono le famiglie, giustamente, a fare pressioni per le sanatorie».
– E dal punto di vista dell’economia?
      «Anche qui le questioni sono complesse. Il ricorso al lavoro dell’immigrato irregolare consente di tenere basso il costo del lavoro, e quindi di far restare in vita attività che altrimenti rischierebbero di scomparire, trascinando nel baratro anche lavoratori italiani. Poi c’è tutta quella domanda che chiamo di lavoro servizievole, cioè miriade di lavori debolmente qualificati, senza i quali la nostra società si fermerebbe».
– Per esempio?
     «Addetti alle pulizie, custodi, imbianchini, autisti, baby sitter, colf, lavanderie, camerieri, parrucchieri, mense, tavole calde, fast food, bar. Insomma quel proletariato dei servizi senza il quale la nostra economia va in stallo».
– Ma sono lavoratori o la loro condizione è vicina a quella degli schiavi?
      «No. Sono lavoratori con un livello di diritti inferiori ai nostri. Somigliano ai meteci della democratica Atene, cioè lavoratori stranieri, tollerati perché utili, ma senza diritti politici. Godono della pensione e dell’assistenza sanitaria ma non hanno il diritto di vivere con la propria famiglia. Il ricongiungimento familiare è un diritto che tutte le Corti di giustizia hanno imposto ai Paesi occidentali. Il Governo italiano recentemente lo ha negato, come fanno i Paesi del Golfo. Il modello che stiamo adottando non è quello degli Stati Uniti o del Canada, ma quello dell’Arabia Saudita».
– Senza immigrati che cosa accade?
      «L’edilizia va in crisi oppure i costi sarebbero elevatissimi e il rispetto dei tempi impossibile. Le Olimpiadi di Torino non si sarebbero mai fatte, visto che al gioco dei subappalti hanno partecipato più di mille piccole imprese rumene. Le famiglie sarebbero in crisi senza badanti, gli ospedali avrebbero seri problemi. Ma nessuno ha il coraggio di riconoscerlo e anche nell’uso delle parole c’è una violenza simbolica contro gli immigrati».
– In che senso?
      «Prenda le badanti. Fanno molto di più che badare, fanno vera e propria assistenza, a volte anche medica. Eppure a noi piace solo l’immigrato che lavora duramente, senza osare chiedere maggiore qualificazione. Integrazione nella nostra società deve essere sinonimo di sottomissione. L’immigrato va bene dalle 8 alle 18. Poi deve sparire perché disturba, non lo vogliamo vedere al bar, non lo vogliamo nei parchi nel fine settimana. Ecco perché approviamo la creatività razzista dei sindaci sceriffi».
– Si potrà superare questa situazione?
      «Credo che un giorno gli immigrati presenteranno il conto, alla fine si organizzeranno
anche politicamente. E non è detto che sarà meglio. Con questa politica intrecciata di minacce e di ostilità ci stiamo preparando un cattivo futuro. Uno sciopero degli immigrati metterebbe in ginocchio il Paese».
– Il diritto di voto potrebbe migliorare la situazione?
      «Credo di sì. Al tempo dell’immigrazione dal Sud verso il Nord industriale si presentavano gli stessi problemi: sicurezza, ghetti, resistenze all’integrazione. Ma i “terroni” votavano e questo ha impedito ai sentimenti più cattivi dell’opinione pubblica di salire ai piani alti della politica. Se gli immigrati potessero votare si accrescerebbe il livello generale di civiltà nel dibattito su molti temi. Sarebbe un incentivo verso una integrazione più rispettosa della realtà dei fatti ed efficace».

di Alberto Bobbio

Pubblicato su Famiglia Cristiana   http://www.famigliacristiana.it  

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

2 Commenti

  1. Daniele, Napoli said:

    dico subito che sono favorevole all’integrazione. E ad ogni gesto o provvedimento che possa favorire la dignità delle persone. Ma spesso mi sono chiesto perché non favoriamo la costruzione di cooperative, piccole e medie imprese nei Paesi del cosiddetto Terzo (e Quarto) Mondo? Leggendo questo articolo mi sembra di trovare una risposta: ridistribuire la ricchezza su tutta la Terra, anziché a vantaggio solo dei paesi ricchi, fa paura. Certo, ci sono Paesi in ‘via di sviluppo’ con una difficile situazione politica e sociale, per cui intervenire è anche difficile.

  2. Fulvio Scaglione said:

    Caro Daniele,
    (scusa ma noi, qui, ci diamo del tu, spero che la cosa non ti offenda)
    purtroppo la tua domanda (perché non aiutare il decollo delle economie sottosviluppate, prima che il problema si trasferisca armi e bagagli da noi) ha una risposta assai facile: in sede Onu era stato raggiunto un accordo affinché i Paesi sviluppati dedicassero lo 0,27% del Pil (Prodotto interno lordo)alla cooperazione allo sviluppo. Tale accordo, però, non è mai stato rispettato, se non dai soliti Canada e Svezia, ed è praticamente cadto nel dimenticatoio.
    Per quanto invece riguarda l’integrazone degli immigrati da noi, l’inchiesta di cui presento qui i materiali dà risultati assai chiari: il lavoro degli immigrati è ormai necessario al buon funzionamento della nostra economia. Pensa che da solo il loro lavoro vale ormai il 6% del Pil. Se hai voglia e tempo, segui i prossimi materiali, che sono specifici settore per settore, dall’edilizia alle pensioni. Sono dati che molti non conoscono ma senza i quali non si può decidere alcuna politica in merito.
    Ciao, grazi, a presto

    Fulvio

*

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Top