DROGA AFGHANA, VITTIME ITALIANE

    Dcsa è una sigla che può suonare misteriosa. Vuol dire Direzione Centrale dei Servizi Antidroga del ministero dell’Interno e il suo ultimo rapporto (ben 246 pagine) è una lettura che val più di cento discorsi fumosi sulla globalizzazione. Dice dunque la Direzione che l’Italia è il secondo mercato nazionale mondiale dell’eroina (il primo è la Gran Bretagna) e che da noi sono in crescita veloce il consumo di cocaina e velocissima quello delle droghe sintetiche. Lo si vede dai sequestri: più 193% le quantità di droghe sintetiche intercettate dalle Forze dell’Ordine, più 42,9% invece i sequestri di eroina. E lo si vede, purtroppo, anche dai morti: 589 “caduti” sul fronte della droga nel 2007, cioè 38 in più del 2006.

    Abbiamo detto “caduti” non a caso. Mentre la cocaina consumata in Italia arriva quasi interamente dall’America del Sud, l’eroina è quasi tutta originaria dell’Afghanistan. Sì, proprio lui, il Paese liberato dai talebani, la democrazia governata da Ahmid Karzai, il modello di tutte le guerre contro il terrorismo e l’estremismo islamico. Non è il caso di ripetere che l’attacco ai talebani fu doveroso e necessario: l’Afghanistan, sotto di loro, era diventato un centro di addestramento e una base logistica per un terrorismo che colpiva per destabilizzare mezzo mondo. Non solo a New York e Washington nel 2001, dunque, ma anche in Asia, in Africa, nel Caucaso, in Medio Oriente. Resta però il fatto che tra le tante cose che poi non hanno funzionato a dovere c’è proprio la questione della produzione del papavero da oppio, che transita nei laboratori dei narcotrafficanti in Pakistan e Turchia, diventa eroina e uccide in Europa e negli Usa.

    Con i talebani la coltivazione di papavero era stata ridotta fin quasi a zero. Con la democrazia (leggi: la spartizione del Paese tra diversi “signori della guerra”)  è tornata a livelli record: a Kabul e dintorni oggi si produce il 93% di tutta l’eroina base del mondo. E si va avanti così da anni: già nel 2003, produttori di oppio e narcotrafficanti realizzavano in Afghanistan proventi per circa 2,5 miliardi di dollari l’anno, una cifra pari a metà dell’intero Prodotto interno lordo legale del Paese. Le truppe dei 36 Paesi che formano la coalizione militare Nato non hanno mai elaborato una vera strategia per affrontare il problema. Marciano, anzi, in ordine sparso. Gli americani sono più inclini alla mano forte e spesso distruggono le colture. Gli europei sono più prudenti e spesso fanno finta di niente, pensando che un contadino afghano ridotto alla fame sia più incline a prendere le armi e sparare contro gli stranieri e il Governo locale che li appoggia.

    Di incertezza in dubbio siamo così arrivati alla situazione sopra descritta, con le colture di papavero da oppio che ormai occupano il 5% delle terre coltivabili del’Afghanistan. Ci pare giusto, allora, considerare anche i morti di eroina dei “caduti” sul fronte afghano. O almeno, se questo suona irriguardoso nei confronti dei soldati morti davvero sul campo, inserirli tra le voci passive di questo genere di spedizioni. Così, per realismo.

http://www.poliziadistato.it        http://www.unodc.org         http://www.usdoj.gov/dea

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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