Da un grande amico e collega, Alberto Chiara, ricevo questa lettera. Alberto segue da anni per Famiglia Cristiana le vicende dell’Afghanistan.
———————————————
“Caro Fulvio, so che è capitato anche a te, tornato da fronti lontani, di seguire con particolare emozione la notizia di uno scontro a fuoco, di un attentato, dell’esplosione di auto bomba…
Ricordo quando arrivò in redazione la notizia della strage di Nassirya. Tu c’eri stato con il comune amico e collega Nino Leto, con quei Carabinieri avevi trascorso del tempo e realizzato servizi. Sgomento e dolore furono acuiti dalla personale conoscenza…
Ieri è toccato a me. Quando ho saputo dell’ennesimo lutto italiano in Afghanistan, ho atteso con trepidazione che venissero comunicati i nomi. Mauro Gigli l’ho conosciuto. Di più, è stato il primo militare italiano che Nino Leto e io abbiamo incontrato appena arrivati a Camp Arena, il quartier generale del contingente italiano sorto a ridosso dell’aeroporto di Herat. Apparteneva al 32° reggimento genio guastatori, inquadrato nella Brigata alpina Taurinense. Ci ha aspettato vicino a un Buffalo, un mezzo gigante di fabbricazione americana con cui gli sminatori operano sul campo.
“E’ un ottimo professionista, oltre che un amico”, ha detto, presentandoci, il portavoce della missione, il maggiore degli Alpini Mario Renna. Ha sorriso, Gigli. Le domande poste riguardavano il suo lavoro, com’era ovvio che fosse. Ma in ultimo abbiamo parlato anche di The Hurt Locker, il film che vinto l’Oscar 2010 e racconta vita ed emozioni degli sminatori americani impegnati in Irak.
«Gli ordigni esplosivi improvvisati (gli Iedd, Improvised Explosive Device Disposal), sono una minaccia con cui ci misuriamo continuamente», ha esordito Gigli che alle spalle aveva una grande esperienza maturata in diverse missioni. «Siamo qui da neppure tre mesi e già i nostri team di Herat e di Bala Murghab hanno dovuto compiere oltre 50 interventi. Se sommiamo anche le operazioni dei team degli artificieri italiani che operano Sud, a Shindad e a Farah, il totale sale a 80 e più».
«L’esplosivo è contenuto in bottiglie, in scatole di legno o di cartone; la detonazione viene attivata da piatti di pressione o tramite un sistema a tempo oppure, ancora, grazie a un radiocomando», aveva poi aggiunto. «Il momento più delicato è sicuramente quando c’è l’approccio manuale dell’operatore. Ogni intervento fa storia a sé. Certo, abbiamo anche a disposizione piccoli veicoli robotizzati e i Buffalo. Decidiamo di volta in volta come procedere, la scelta è dettata anche dal posto dove viene rinvenuto l’ordigno, se in terreno aperto, in campagna o in un luogo densamente abitato, con alto rischio per i civili».
Gli abbiamo chiesto se è vero che è stata usata anche una pentola a pressione, e lui ha confermato che nell’aera di Kabul è successo anche questo. «Per tacere delle autobomba», ha aggiunto Gigli. Che ha raccontato, inoltre, di quando ha accompagnato per tre giorni il convoglio di mezzi partiti da Herat e diretti alla base operativa avanzata Columbus di Bala Murghab, 230 chilometri di strade via via sempre più pericolose e impervie che richiedono una settimana abbaondante di viaggio, giacché si procede a passo d’uomo, il pericolo degli Iedd sempre in agguato.
Il 17 maggio, proprio un ordigno esplosivo improvvisato ha ucciso due commilitoni di Gigli, il sergente Massimiliano Ramadù e il caporale Luigi Pascazio, anch’essi del 32° reggimento genio guastatori della Brigata Taurinense.
L’intervista volgeva ormai al termine, quando siamo raggiunti da altri sminatori, tra cui il maresciallo Paola Gigante, con il cane Zero. Nino Leto ha scattato le foto che si possono vedere qui a fianco. C’è stato ancora il tempo per un paio di battute sul film The Hurt Locker. «L’ho visto, rende fedelmente la nostra vita, l’adrenalina che ci corre dentro quando interveniamo, la paura, la professionalità e l’esperienza che ci permettono di imbrigliarla. Sì, m’è piaciuto», ha concluso il primo maresciallo.
Ci siamo salutati. Era l’imbrunire di venerdì 11 giugno. Insieme con il caporalmaggiore capo Pierdavide De Cillis, Mauro Gigli è morto non lontano da Herat la sera del 28 luglio. De Cillis lascia una moglie, incinta al quarto mese, e una figlia piccola. Gigli lascia la moglie e due figli, di 19 e 7 anni. Con questi due nuovi lutti, l’Operazione Enduring Freedom, cominciata sul finire del 2001, conta 1.970 soldati stranieri morti in Afghanistan. Di questi, 29 sono italiani”.