Barack Obama, alle elezioni di mezzo mandato, era riuscito a perdere 68 seggi alla Camera dei Rappresentanti e 6 al Senato. Prima di lui Bill Clinton non aveva fatto molto meglio. È quindi curioso che sia proprio Joe Biden a stampare un punteggio tutto sommato positivo in una tornata elettorale che era invece costata molto cara ai due presidenti democratici che prima di lui, e in modo assai più brillante, hanno abitato la Casa Bianca. Al momento in cui scriviamo, il Senato risulta in pareggio e la Camera dei Rappresentanti dovrebbe consegnare ai repubblicani una maggioranza chiara ma meno ampia di quella che tutti pronosticavano. I giochi non sono finiti, restano da assegnare i seggi senatoriali di Arizona, Nevada e Georgia, ed è possibile che diventi decisiva la Georgia, che andrà al ballottaggio in dicembre perché nessuno dei candidati ha superato la soglia del 50% dei voti. Ma una conclusione è inevitabile: la gran parte degli osservatori si aspettava, sotto la carica di Trump, una travolgente marea repubblicana che invece non si è materializzata.
È possibile, però, che il vero problema dei repubblicani sia stato il loro uomo di punta, ovvero Donald Trump. Il discusso miliardario, oltre a portare con sé l’imbarazzo di accuse poco onorevoli e di inchieste pesanti, risulta essere una figura molto divisiva, in più di un senso. È riuscito a far avanzare candidati che raccolgono il favore della frangia radicale del Partito repubblicano ma che faticano a conquistare un elettorato più ampio e variegato. Inoltre, Trump ha impostato questo voto di mezzo mandato come una prova generale delle prossime elezioni presidenziali, alludendo alla sua ri-candidatura come al grande annuncio che sarebbe stato dato a vittoria conquistata. Una lama a doppio taglio, perché l’energia e la retorica trumpiane galvanizzano i ranghi repubblicani ma ancor più quelli democratici, come si è visto bene già in occasione dell’elezione di Joe Biden due anni fa.
Allo stesso modo Donald Trump divide il suo stesso partito. Senza di lui, i repubblicani non sfondano. Con lui, non c’è spazio per altro o altri. Il caso più tipico di questi mesi è quello di Ron De Santis, governatore repubblicano della Florida che ha ottenuto la riconferma e che ha poco da invidiare a Trump quanto a iniziative clamorose. Ha diffuso spot elettorali in cui si dipinge quasi come un emissario di Dio, in passato ha noleggiato due aerei per spedire un gruppo di immigrati dalla Florida in un feudo elettorale democratico del Nord. Trump ha cominciato a percepirlo come un possibile rivale per la prossima nomination e quindi è partito a testa bassa con gli attacchi, definendolo tra l’altro «Ron De Sanctimonious», ovvero Ron l’Ipocrita. Non male per due che dovrebbero essere leader dello stesso partito e contendere i voti al partito avversario.