È possibile, però, che il vero problema dei repubblicani sia stato il loro uomo di punta, ovvero Donald Trump. Il discusso miliardario, oltre a portare con sé l’imbarazzo di accuse poco onorevoli e di inchieste pesanti, risulta essere una figura molto divisiva, in più di un senso. È riuscito a far avanzare candidati che raccolgono il favore della frangia radicale del Partito repubblicano ma che faticano a conquistare un elettorato più ampio e variegato. Inoltre, Trump ha impostato questo voto di mezzo mandato come una prova generale delle prossime elezioni presidenziali, alludendo alla sua ri-candidatura come al grande annuncio che sarebbe stato dato a vittoria conquistata. Una lama a doppio taglio, perché l’energia e la retorica trumpiane galvanizzano i ranghi repubblicani ma ancor più quelli democratici, come si è visto bene già in occasione dell’elezione di Joe Biden due anni fa.

Allo stesso modo Donald Trump divide il suo stesso partito. Senza di lui, i repubblicani non sfondano. Con lui, non c’è spazio per altro o altri. Il caso più tipico di questi mesi è quello di Ron De Santis, governatore repubblicano della Florida che ha ottenuto la riconferma e che ha poco da invidiare a Trump quanto a iniziative clamorose. Ha diffuso spot elettorali in cui si dipinge quasi come un emissario di Dio, in passato ha noleggiato due aerei per spedire un gruppo di immigrati dalla Florida in un feudo elettorale democratico del Nord. Trump ha cominciato a percepirlo come un possibile rivale per la prossima nomination e quindi è partito a testa bassa con gli attacchi, definendolo tra l’altro «Ron De Sanctimonious», ovvero Ron l’Ipocrita. Non male per due che dovrebbero essere leader dello stesso partito e contendere i voti al partito avversario.