CRIMEA SULLA LINEA DEL FRONTE

Crimea
Di tanto in tanto, in questi decenni di tormentati rapporti tra l’Occidente e la Russia, si ripropone la fatal domanda: c’è qualcuno disposto a morire per… Nel 2008 George Bush diede amplissime rassicurazioni a Mikhail Saakashvili, presidente della Georgia. Siamo con voi, siete un modello di democrazia, vi difenderemo a ogni costo. Saakashvili ci credette e l’8 agosto attaccò l’Ossetia del Sud, per ritrovarsi pochi giorni dopo con i carri armati russi a 50 chilometri dalla capitale Tbilisi. Pochi mesi fa la storia si è ripetuta con l’Ucraina. Kiev, non demordere, siamo con te, nel Donbass non passeranno. Qualche provocazione ucraina e la Russia ammassò una tale quantità di uomini e mezzi al confine da far temere (esagerando, ma alla paura non si comanda) persino un’invasione. Risultato: prima del summit di Ginevra con Vladimir Putin, Joe Biden ha spiegato che l’Ucraina «non è pronta» per entrare nella Nato. E di tale ingresso al summit Nato, peraltro, non si è nemmeno parlato. Parrebbe assai strano, quindi, che fosse venuto in mente agli inglesi di morire per Yalta e per la Crimea, che nel 2014 la Russia ha riannesso con un lesto colpo di mano militare e un referendum importante per il marketing ma credibile come lo sono quasi tutti quelli che si svolgono all’ombra del cannone: cioè, poco.

Ci interrogheremo a lungo, quindi, sul senso dell’operazione realizzata dal cacciatorpediniere «Defender», che è entrato per tre chilometri nelle acque della Crimea, si è fatto sparare addosso dai russi e poi se n’è andato come se nulla fosse stato. Tanto più che il ministero della Difesa inglese si è impegnato in una serie di smentite (non ci hanno sparato, non ci hanno minacciato) che sono state subito vanificate dalle corrispondenze di Jonathan Beale, inviato della Bbc, che si trovava sul «Defender» e che ha detto, al contrario, che la manovra era intenzionale, che i russi hanno sparato e che per almeno venti volte i caccia di Mosca hanno minacciosamente sorvolato l’audace naviglio inglese. Quindi, ancora una volta: perché?

La prima spiegazione che viene alla mente è che, al di là delle belle parole e delle buone intenzioni espresse a Ginevra, la Nato non abbia affatto rinunciato a testare la prontezza e la decisione dell’apparato militare russo. Niente di strano, nulla di cui scandalizzarsi. Avviene ogni giorno, per terra, cielo e mare, e la Rete è affollata di video con il caccia di Tizio che pedina o intercetta quello di Caio. Nel caso del «Defender», stupisce solo che il test sia stato così clamoroso e rischioso. Perché su una cosa la Russia non è disposta a transigere, ed è la questione ucraina. Quel che noi vediamo è la riannessione della Crimea e la secessione del Donbass appoggiata dal Cremlino. Quel che vedono i russi, invece, è la legittima reazione di Mosca una manovra americana per fomentare la rivolta di Maidan del 2014, cacciare da Kiev un presidente filorusso (ma democraticamente eletto) e insediarne uno pronto a piazzare dei bei missili Usa ai confini con la Russia e delle portaerei altrettanto Usa nel porto di Sebastopoli.

Il vero problema, oggi, è che queste schermaglie, compresa quella malaccorta del «Defender», si svolgono ai bordi dell’Europa. E qualcuno, a Bruxelles, dovrebbe preoccuparsene. Nel Mar Nero e in Ucraina le cose sono già abbastanza complicate e proprio non si sente il bisogno che vadano a metterci le mani pure gli inglesi. Sono usciti a spintoni dalla Ue, non hanno alcun legame né provano alcuna timidezza verso le politiche di Bruxelles e, semmai, hanno tutto l’interesse a mostrarsi i più fedeli alleati degli Stati Uniti. Insieme con la tradizionale russofobia inglese, questi elementi fanno molta fatica a combinarsi con il nazionalismo russo e con quella parte dell’apparato putiniano al quale prudono le mani assai più che al presidente.

Dopo l’incidente nelle acque di fronte alla Crimea, Dmitro Kuleba, ministro degli Esteri dell’Ucraina, è tornato a invocare la mobilitazione della Nato. Ma è proprio quella prospettiva che, in casi come questi, fa scattare la reazione russa. Il messaggio di Mosca è semplice, persino brutale: volete portare la Nato fin qui, a 7 minuti di missile da Mosca? Ok. Ma preparatevi al peggio.

Pubblicato sull’Eco di Bergamo del 24 giugno 2021

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

*

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Top