Ci interrogheremo a lungo, quindi, sul senso dell’operazione realizzata dal cacciatorpediniere «Defender», che è entrato per tre chilometri nelle acque della Crimea, si è fatto sparare addosso dai russi e poi se n’è andato come se nulla fosse stato. Tanto più che il ministero della Difesa inglese si è impegnato in una serie di smentite (non ci hanno sparato, non ci hanno minacciato) che sono state subito vanificate dalle corrispondenze di Jonathan Beale, inviato della Bbc, che si trovava sul «Defender» e che ha detto, al contrario, che la manovra era intenzionale, che i russi hanno sparato e che per almeno venti volte i caccia di Mosca hanno minacciosamente sorvolato l’audace naviglio inglese. Quindi, ancora una volta: perché?
La prima spiegazione che viene alla mente è che, al di là delle belle parole e delle buone intenzioni espresse a Ginevra, la Nato non abbia affatto rinunciato a testare la prontezza e la decisione dell’apparato militare russo. Niente di strano, nulla di cui scandalizzarsi. Avviene ogni giorno, per terra, cielo e mare, e la Rete è affollata di video con il caccia di Tizio che pedina o intercetta quello di Caio. Nel caso del «Defender», stupisce solo che il test sia stato così clamoroso e rischioso. Perché su una cosa la Russia non è disposta a transigere, ed è la questione ucraina. Quel che noi vediamo è la riannessione della Crimea e la secessione del Donbass appoggiata dal Cremlino. Quel che vedono i russi, invece, è la legittima reazione di Mosca una manovra americana per fomentare la rivolta di Maidan del 2014, cacciare da Kiev un presidente filorusso (ma democraticamente eletto) e insediarne uno pronto a piazzare dei bei missili Usa ai confini con la Russia e delle portaerei altrettanto Usa nel porto di Sebastopoli.
Il vero problema, oggi, è che queste schermaglie, compresa quella malaccorta del «Defender», si svolgono ai bordi dell’Europa. E qualcuno, a Bruxelles, dovrebbe preoccuparsene. Nel Mar Nero e in Ucraina le cose sono già abbastanza complicate e proprio non si sente il bisogno che vadano a metterci le mani pure gli inglesi. Sono usciti a spintoni dalla Ue, non hanno alcun legame né provano alcuna timidezza verso le politiche di Bruxelles e, semmai, hanno tutto l’interesse a mostrarsi i più fedeli alleati degli Stati Uniti. Insieme con la tradizionale russofobia inglese, questi elementi fanno molta fatica a combinarsi con il nazionalismo russo e con quella parte dell’apparato putiniano al quale prudono le mani assai più che al presidente.
Dopo l’incidente nelle acque di fronte alla Crimea, Dmitro Kuleba, ministro degli Esteri dell’Ucraina, è tornato a invocare la mobilitazione della Nato. Ma è proprio quella prospettiva che, in casi come questi, fa scattare la reazione russa. Il messaggio di Mosca è semplice, persino brutale: volete portare la Nato fin qui, a 7 minuti di missile da Mosca? Ok. Ma preparatevi al peggio.