Il cosiddetto «piano di pace» di Donald Trump (che in realtà pare fatto apposta per destare il maggior numero possibile di rancori), nel suo furioso desiderio di scaricare sui palestinesi tutte le colpe per quanto avvenuto nell’ultimo secolo, offre però almeno un elemento interessante. Ovvero: la riproposizione della «soluzione a due Stati» che negli ultimi anni la destra israeliana aveva rigettato, giudicandola morta e sepolta.
Ovviamente Trump ha immaginato uno Stato palestinese ridotto ai minimi termini, privo di continuità territoriale, disarmato, alla mercé del più potente vicino. Resta il fatto che al dunque, quando dalla propaganda e dalle fucilate si prova a passare alla politica, la «soluzione a due Stati» resta quella più pratica e praticabile. L’implicita ammissione di Trump offre così alla disastrata classe di governo palestinese (ammesso che esista ancora, visto che da tredici anni non si vota) un’apertura forse inattesa.
Soprattutto perché l’idea di due Stati paralleli ha una storia assai più lunga di quanto molti credano. Cominciò a parlarne il Regno Unito, potenza mandataria in Palestina dal 1920 al 1948, già nel 1937, allorché la Commissione Peel immaginò di dividere l’area del mandato in tre: una parte araba, una ebraica e una terza, centrata su Gerusalemme, sotto amministrazione internazionale. L’anno dopo, 1938, la Commissione Woodhead riprese l’idea ed elaborò nuove proposte di spartizione, respinte sia dagli arabi sia dagli ebrei. Nel 1939 il governo britannico produsse un Libro bianco che addirittura immaginava un unico Stato per ebrei e palestinesi, mentre a questi ultimi garantiva che non sarebbe stato creato alcuno Stato ebraico.
Per finire, nel 1947 le Nazioni Unite, con la Risoluzione 181, ipotizzarono una spartizione simile a quella prevista dieci anni prima dalla Commissione Peel (Stato palestinese, Stato ebraico e Gerusalemme sotto amministrazione internazionale). La proposta fu respinta dai leader palestinesi e dai governi dei Paesi arabi. Le ragioni, peraltro, erano forse discutibili ma certo concrete: gli ebrei, con il 33 per cento della popolazione totale della Palestina, si vedevano assegnare il 55 per cento del territorio; agli ebrei toccavano quasi tutte le terre più fertili, all’epoca dedicate alla produzione di agrumi; i palestinesi avevano solo il 30 per cento degli sbocchi sul Mediterraneo, nessuno sbocco sul Mar Rosso e nessun accesso al Mare di Galilea (o Lago di Tiberiade), la maggiore risorsa idrica della regione.
Come si vede, quindi, il problema è sempre lo stesso. Nessuno è mai riuscito a immaginare una soluzione «migliore» della creazione di due Stati. E nessuno è mai riuscito a trovare la strada per siglare quel patto in un modo che soddisfacesse entrambe le parti.