TRUMP IN SIRIA … VISTO DA TRUMP

trumpTruppe Usa presso i pozzi di petrolio nel Nord-Est della Siria.

Quante cose in più capiremmo se solo perdessimo l’abitudine di considerare dei minorati mentali tutti i leader che non ci piacciono. È successo con Boris Johnson, che alla fine con la sua idea di Brexit ha convinto gli inglesi. E succede regolarmente con Donald Trump. Prendiamo la politica in Medio Oriente, che è «sua» quando pare fallimentare ed è di altri (generali, consiglieri, Stato profondo) quando pare di successo. In particolare, guardiamo le ultime vicende relative alla Siria.

Il 6 ottobre scorso Trump annunciò l’intenzione di ritirare il migliaio di soldati dispiegati sul territorio siriano. Pochi giorni dopo, però, arrivò l’annuncio contrario: non ci ritiriamo, restiamo. Tutti cominciarono a dire: ecco, il solito confusionario. Sicuri? A posteriori, e visti anche gli esiti della crisi semi-militare con l’Iran, la realtà sembra un po’ diversa. A Trump (o a chi per lui) interessava garantire a Erdogan la possibilità di occupare una fetta di territorio siriano. Non a caso il 17 ottobre , segretario di Stato Usa, volò a Istanbul per incontrare il presidente turco e consegnarli l’approvazione della Casa Bianca al piano che diceva: cinque giorni di tempo ai curdi per ritirarsi, poi via libera ai turchi. Piano che sarebbe poi stato perfezionato dall’accordo tra Erdogan e Vladimir Putin.

E veniamo alle truppe mai ritirate. Trump spiegò che le lasciava nel Nord-Est della Siria per mettere sotto controllo i pozzi di petrolio siriani. Aggiunse anzi che avrebbe cercato di coinvolgere una qualche grande compagnia petrolifera americana, per fare le cose per bene. Anche in quel caso Trump fu dileggiato. Qualcuno fece notare che i pozzi siriani estraevano, prima della guerra civile, meno di 400 mila barili al giorno, un’inezia per gli Usa che, grazie allo shale oil, sono diventati il primo produttore mondiale di petrolio. E che, ovviamente, nessuna compagnia petrolifera aveva risposto al suggerimento presidenziale, visto che i costi e i rischi sarebbero stati molto superiori ai ricavi.

Ma è davvero un po’ di petrolio ciò che cerca Trump in Siria? In realtà, controllando quei pochi pozzi la Casa Bianca centra una serie di obiettivi. Azzoppa la rinascita della Siria di Bashar al-Assad, che prima del 2011 vantava una quasi assoluta autonomia energetica. Tiene sotto pressione l’Iran e le milizie sciite filo-iraniane che operano nel confinante Iraq. Dà da pensare a Russia e Turchia, che sempre più spesso (dopo la Siria, anche in Libia) filano d’amore e d’accordo. In caso di necessità, grazie a quei pozzi, Trump ha risorse economiche pronte per finanziare le milizie curde fedeli agli Usa.

Il tutto, tra l’altro, a un costo ridicolo. I mille soldati americani che fanno la guardia ai pozzi siriani sono lo 0,5 per cento di tutte le truppe che gli Usa dispiegano all’estero. E dal momento dell’intervento in Siria nel 2014, sono morti sul campo «solo» otto soldati americani. Dal punto di vista di Trump, o di chiunque abbia deciso l’intervento, un vero affare.

Pubblicato in Babylon, il blog di Terrasanta.net

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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