HAFTAR, UN’ARMATA ALLA FACCIA DELL’ONU

haftarLa parata di un reparto dell'esercito libico fedele al generale Haftar.

Nel marzo del 2011 l’offensiva interna ed esterna si apprestava a rovesciare Muhammar Gheddafi. Proprio allora l’Onu decretò un embargo totale dell’esportazione in Libia di armi e attrezzature militari. Lo scopo era, ovviamente, indebolire il regime del Colonnello. Nel settembre dello stesso anno, e poi nel marzo del 2013, le Nazioni Unite, con due diverse risoluzioni, alleggerirono l’embargo. Le nuove regole consentivano solo l’esportazione di armi non letali, attrezzature tecniche e denaro. Domanda: allora come ha fatto il generale Khalifa Haftar, da settimane all’offensiva contro il governo di Tripoli, ad ammassare un simile esercito?

Come si sa,  il Governo tripolino guidato da Fayez al-Serraj, è l’unico riconosciuto dall’Onu. Ma contro di esso Haftar può muovere una vera armata, molto diversa dalle formazioni combattenti di questa o quella tribù. Non a caso, e con una certa ragione, si chiama e si fa chiamare Esercito nazionale libico.

Agli ordini di Hafatr c’è un nucleo stabile di circa 25 mila uomini. 7.500 sono soldati di professione, in gran parte reduci dell’esercito di Gheddafi. A essi Haftar può aggiungere 12 mila miliziani (tra i quali unità di mercenari del Sudan e del Ciad) e alcune migliaia di uomini delle Brigate Zintan, che a suo tempo furono in prima linea contro Gheddafi. A questi uomini si affiancano, nelle diverse circostanze e in quantità variabile, combattenti forniti dalle tribù del Sud della Libia, da tempo alleate di Haftar.

A soldati, miliziani e combattenti vari dev’essere corrisposto un salario, al quale provvedono le capaci casse dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti. Poi bisogna loro dare le armi giuste.

Dal punto di vista delle forniture militari il momento chiave, per Haftar, è venuto nel 2014. In quell’anno il generale varò la cosiddetta Operazione Dignità, un attacco ai gruppi islamisti, Isis in primo luogo, attestati intorno alla città di Bengasi. Questa operazione ebbe il potere di sdoganarlo agli occhi di molti governi occidentali, che accolsero con sollievo la sconfitta del Califfato in territorio libico.

Il 2014 è anche l’anno in cui i governi di Tripoli e di Tobruk (che appoggia Haftar) si spartiscono i resti dell’aviazione libica. Al generale va così la maggior parte dei caccia Mig un tempo appartenuti a Gheddafi, più otto elicotteri da combattimento (cinque russi e tre sudanesi).

Da allora le violazioni all’embargo e alle limitazioni imposte dall’Onu non si sono più contate. L’Egitto fornisce ad Haftar sette caccia Mig e otto elicotteri, più una gran quantità di munizioni e pezzi di ricambio. Gli Emirati Arabi Uniti provvedono con altri quattro elicotteri. Poi arrivano i droni, omaggio degli Emirati e dell’Iran. E la Russia si mette a disposizione per l’assistenza tecnica all’aviazione dell’Esercito nazionale libico.

Un contributo prezioso, questo. I Mig e gli elicotteri recuperati dagli arsenali gheddafiani (anche quelli poi ritrovati nelle basi di Al-Abrak e Al-Woutiya) sono dei vecchi arnesi esposti ai guasti. Così pure i velivoli forniti dall’Egitto, che li pesca tra quelli dismessi dalla propria aviazione. La necessità di controlli e ricambi è enorme e Haftar non potrebbe farcela senza i russi, produttori appunto dei Mig. L’Egitto, a propria volta, provvede all’addestramento di piloti e tecnici. L’armata di Haftar, infine, è dotata anche di una sua Marina. Qui molto hanno contribuito i francesi, già con Sarkozy e Hollande generosi anche nel fornire armi e consiglieri militari.

Questa situazione ci dice dell’ipocrisia di molti, troppi Paesi. Aderiscono alle risoluzioni Onu già sapendo che le violeranno. Esaltano le istituzioni internazionali ben sapendo che le ignoreranno appena l’interesse nazionale entrerà in gioco. E ci dice anche dell’impotenza delle stesse Nazioni Unite, troppo deboli di fronte a interessi di parte di cui esse stesse, di volta in volta, sono complici e vittime.

L’embargo del 2011 contro la Libia di Gheddafi era congegnato per favorire il cambio di regime voluto da Francia e Regno Unito insieme con gli Stati Uniti. Nelle parole una guerra per la democrazia. Nei fatti solo un’operazione coloniale per la spartizione delle ricchezze energetiche del Paese e per lo sfruttamento della sua posizione strategica. Infatti, adesso quegli stessi Paesi se ne infischiano della democrazia e del fatto che il governo di Al-Sarraj sia riconosciuto dall’Onu ma appoggiano il colpo di Stato militare di Haftar. Dell’Onu si prendono ora gioco gli interessi perversi che le stesse Nazioni Unite avevano favorito e protetto.

Pubblicato in Babylon, il blog di Terrasanta.net

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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