ARABIA SAUDITA, MORTE PER CHI DISSENTE

arabia sauditaL'uccellino di Twitter decapitato dai sauditi. La metafora della repressione.

Tre richieste di condanna morte in una settimana sarebbero un’enormità ovunque. Non in Arabia Saudita, dove nel gennaio 2016 furono messe a morte 47 persone in una sola esecuzione di massa. I sauditi riescono a battere ogni record: le tre richieste di pena capitale, infatti, sono state emesse ai danni di tre importanti figure dell’islam sunnita: Salman Odah, Alì al-Omari e Awad al-Qarni, arrestati nel settembre scorso durante le “purghe” scatenate dal principe ereditario (e oggi vero padrone del regno) Mohammed bin Salman. Si tratta di personaggi con un vasto seguito tra i fedeli musulmani (Odah, per fare un solo esempio, ha 14 milioni di follower su Twitter e il suo canale YouTube ha 170 mila iscritti) e che godono un indiscutibile prestigio di studiosi.

Come si ricorderà, appena ottenuti i pieni poteri (detiene le cariche di principe ereditario, vice-primo ministro, ministro della Difesa, segretario generale della Corte, presidente del Consiglio per gli affari economici del Regno), Bin Salman lanciò una campagna di repressione del dissenso facendo arrestare molti personaggi influenti dell’Arabia Saudita, rilasciati solo dopo aver consegnato allo stesso principe gran parte dei loro beni.

Il ricatto ai miliardari

L’attenzione allora si concentrò sui grossi nomi internazionalmente noti (per esempio il miliardario Al Waleed bin Talal, socio di Warren Buffet e Bill Gates, oltre a 11 principi e 4 ministri) ma gli arresti andarono a colpire anche gli attivisti per i diritti civili e, come abbiamo visto, esponenti religiosi sunniti di assoluto prestigio ma “colpevoli” di avere vedute più moderne e liberali di quelle del Principe, fedele a un islam sunnita ma pesantemente condizionato dal radicalismo wahabita.

La questione religiosa

Anche in questo caso, però, la questione religiosa è solo una parte, e nemmeno quella decisiva, del problema. I tre religiosi, ognuno a modo suo ma tutti in modo assai composto, avevano espresso perplessità sula recente condotta politica dell’Arabia Saudita, che conduce una guerra spietata nello Yemen (i civili, e persino i bambini, sono regolarmente colpiti dall’aviazione saudita, come confermato dall’Unicef nelle scorse settimane) ed è protagonista dell’embargo contro il vicino Qatar. E questo, per Mohammed bin-Salman, non era tollerabile.

Così Odah, Al-Omari, Al-Qarni hanno visto il procuratore speciale del tribunale speciale anti-terrorismo chiedere per loro la condanna a morte. per di più, dopo un “processo” svoltosi in data segreta, in una località sconosciuta, in assenza dell’imputato o di un suo legale rappresentante e sulla base di accuse che non sono state rese pubbliche. Così vanno le cose nel regno del Principe Mohammed, esaltato come moderno e illuminato riformatore dell’ Arabia Saudita quando, un po’ di mesi fa, permise la riapertura dei cinematografi.

Pubblicato in Babylon, il blog di Terrasanta.net

 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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