BANGLADESH, LA CORSA ALL’ORO DEL QATAR

bangladeshLavoratori del Bangladesh ai controlli doganali.

Sempre oscillanti tra il perenne complesso di colpa e l’indifferenza totale, non badiamo a fenomeni che coinvolgono milioni di persone e, nello stesso tempo, segnano il tempo che viviamo. Così, mentre nella mente dell’occidentale il Medio Oriente è un luogo da cui fuggire, in quella di molti orientali invece è un mito, un approdo sognato, un luogo da raggiungere a tutti i costi. Per esempio, per i lavoratori del Bangladesh, che cercano in ogni modo di raggiungere Paesi come Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti.

Nel 2013, secondo i dati dell’Onu, il Bangladesh è stato, tra i Paesi in via di sviluppo, il primo “produttore” di migranti al mondo: più di 3 ogni mille abitanti. E nel 2015 è stato il decimo Paese al mondo per rimesse ricevute dagli emigrati: un importo pari a 16 miliardi di dollari, il decimo più alto al mondo, quasi il doppio di quanto ricevano, per esempio, gli Stati Uniti.

La storia di questi migranti è terribile prima ancora che partano. In un Paese come il Bangladesh, dove il Pil pro capite si aggira intorno ai 3.900 dollari l’anno (dati 2016), il visto per un Paese come Arabia Saudita o Qatar può costare anche 3.500 dollari. Gli aspiranti migranti sono quasi tutti contadini o lavoratori in fondo alla scala sociale, burocrazia e corruzione fanno in fretta ad abusare di loro. La bustarella è d’obbligo per soddisfare l’infinita schiera di mediatori incaricati di trattare con la polizia per il passaporto, le ambasciate per il visto, le agenzie per il viaggio e così via. È stato calcolato che l’industria della mazzetta valga il 10 per cento del Prodotto interno lordo.

La meta più ambita, negli ultimissimi anni, è il Qatar per via degli imponenti lavori necessari a garantire la realizzazione dei Campionati mondiali di calcio del 2022. Oggi, nel Paese del Golfo Persico, ci sono quasi 20 immigrati ogni 1.000 abitanti e il Bangladesh, per tornare al nostro esempio, ha fatto la sua parte con quasi 220 mila immigrati in Qatar negli anni 2014 e 2015. E il Qatar, dove pure le allucinanti condizioni di lavoro nei cantieri del mondiale sono oggetto delle dure proteste di Amnesty International, secondo gli esperti è un esempio tutto sommato positivo: c’è un numero verde per denunciare gli abusi, c’è un ufficio per i diritti umani, i salari vengono versati in conti bancari regolari e così via. Dicono, gli stessi esperti, che è l’effetto calcio: con gli occhi di tutti addosso, il Qatar cerca di darsi qualche regola, anche se la retribuzione offerta a questi lavoratori è scandalosamente, anzi criminalmente bassa, per uno dei Paesi più ricchi del pianeta. Altrove, in Arabia Saudita e negli Emirati, è anche peggio. Salari sempre infimi e prepotenze e violenze all’ordine del giorno.

Solo il Bangladesh vede tornare circa 3.500 dei suoi giovani emigrati in una bara ogni anno. Quasi tutti con diagnosi tipo «arresto cardiaco». Problemi di cuore così diffusi tra giovanotti sulla trentina? Cose dell’altro mondo ma nel nostro mondo. Il mondo dei nostri affari, della Formula Uno, del calcio, delle alleanze politiche e militari.

Pubblicato in Babylon, il blog di Terrasanta.net

 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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