“Ora basta”. Barack Obama lo ripete dopo ogni strage nei campus o nelle scuole, per strada o nei luoghi di lavoro. Non ha fatto eccezione dopo il massacro di San Bernardino, in California, dove l’ex ispettore sanitario di un centro per disabili e sua moglie, forse terroristi o forse pazzi, hanno massacrato 14 persone proprio laddove lui era prima impiegato. In casa degli assassini la polizia ha trovato armi da guerra, esplosivi e migliaia di proiettili.
Il Presidente è sincero nel dolore che manifesta e nello sdegno che prova. Ma è abbastanza facile prevedere che il suo “ora basta” anche questa volta resterà lettera morta. Per almeno due ragioni. La prima è giuridica: il secondo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America dice che “essendo necessaria alla sicurezza di uno Stato libero una milizia regolamentata, il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non potrà essere infranto”.
Armi e Costituzione
Certo, l’emendamento risale al 1791, epoca in cui una milizia di cittadini per l’autodifesa poteva avere senso. Ma oggi? In uno Stato che nel 2015 dovrebbe spendere 620 miliardi di dollari per la Difesa e ha un esercito di 1 milione e 100 mila uomini, fa impressione pensare che il diritto a girare armati sia considerato inviolabile quanto il diritto al voto e alla libertà di espressione. E che l’acquisto di armi da fuoco sia in sostanza vietato solo ai minori, che però possono usarle in determinate condizioni. Ma tant’è. E nel 2008 la Corte Suprema l’ha ribadito, abolendo la legge che da 32 anni vietava nella città di Washington di tenere in casa pistole per difesa personale. Per un Presidente, per di più a fine mandato come Obama, è di fatto impossibile rovesciare una tradizione legislativa così radicata.
La seconda ragione, invece, è economica. Quello delle armi da fuoco è, negli Stati Uniti, un business redditizio e ben coperto. Basti pensare che l’USCB (l’Ufficio censimenti degli Stati Uniti), che pubblica studi su ogni ramo dell’industria, ha dedicato ai produttori di armi l’ultimo studio nel 2010, con dati del 2007. Lo Small Arms Survey (Osservatorio sulle armi portatili), pubblicato in Svizzera nel 2013, fornisce dati impressionanti. Dal 1980 in poi, circa 2.300 produttori americani hanno riversato sul mercato civile una media di 4,25 milioni di armi l’anno, alle quali sono andate ad aggiungersi quelle importate: 500 mila “pezzi” l’anno nei primi anni Ottanta, più di 3,5 milioni nel 2010.
Stiamo parlando, come si vede, delle sole armi per “difesa personale” e delle sole aziende civili. Non delle armi da guerra, come quelle usate nella strage di San Bernardino, peraltro facili da procurare. Di un settore con vaste zone di opacità, come ancora lo Small Arms Survey ci spiega: nel 2008 l’ATF (l’agenzia di Stato Usa per il controllo di Alcol, Tabacco, Armi da fuoco ed Esplosivi) dichiarò che “più del 40% delle ispezioni su inventari e stoccaggio delle aziende esaminate avevano dato esito positivo”, cioè il 60% delle ispezioni avevano rivelato falle nella filiera tra produttori e acquirenti. E di un mercato in cui i fabbricanti sono tanti ma i colossi pochi: tre soli marchi (Sturm, Ruger & Co, Remington e Smith&Wesson) si dividono circa il 50% del mercato e possono quindi esercitare sui legislatori una fortissima pressione attraverso il lobbysmo, che negli Usa è lecito e regolamentato.
Legge, interesse economico, sistema politico. Tutto quindi congiura contro un atteggiamento più sano e razionale verso le armi da fuoco negli Stati Uniti. Obama cesserà di fare il Presidente senza vincere questa battaglia. Forse, senza averla nemmeno cominciata.
Pubblicato sull’Eco di Bergamo del 5 dicembre 2015
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