LIBIA, DOPPIO PERICOLO PER L’ITALIA

libiaFausto Piano, uno dei quattro tecnici italiani rapiti in Libia.

Hanno fatto molto bene gli uomini del nostro Governo, in particolare il sottosegretario Minniti, a smentire l’ipotesi che da giorni rimbalzava tra politica e informazione, mondi decisivi per la formazione di una coscienza nazionale e di un’opinione pubblica, e cioè che Gino Pollicardo, Fausto Piano, Filippo Calcagno e Salvatore Failla, i tecnici della Bonatti rapiti quattro giorni fa in Libia, siano stati sequestrati dagli stessi trafficanti di uomini che incanalano migliaia di migranti verso le nostre coste.

L’immigrazione fa notizia e così si è arrivati persino a supporre la proposta perversa di uno scambio tra i nostri tecnici e sette scafisti arrestati e detenuti in Italia. Anche se detti scafisti sono ragazzotti tra i venti e i trent’anni, soldatini del traffico perfettamente rimpiazzabili, riscattati semmai con un mazzetto di dollari consegnati alle famiglie.

Libia, Europa e altre storie

Un tipico sussulto demagogico e narcisistico. Una tesi che, per aver circolato ed esser stata seriamente discussa, la dice lunga su quanto incompresa e sottostimata sia la situazione della Libia. Ne parliamo come se fosse possibile distinguere tra i suoi protagonisti: chi traffica migranti di qua, l’Isis di là, i musulmani moderati su, i laici riconosciuti dall’Occidente giù. Cioè, come se certi ruoli non fossero comuni, come se l’Isis non lucrasse circa 300 milioni di dollari l’anno con i migranti, come se decine di tribù armate e impegnate a spartirsi le risorse del Paese fossero inquadrabili nei nostri schemi europei e non disponibili a inseguire l’offerta migliore.

La Libia, peraltro, replica quanto abbiamo già visto, in forme diverse ma analoghe, in Iraq e in Siria. La nostra difficoltà ad accettarlo spiega anche perché abbiamo creduto alla favola della “democrazia da esportazione” e perché non riusciamo a digerire che certi regimi autoritari in Medio Oriente hanno, se non una giustificazione, almeno una spiegazione storica e una ragion d’essere concreta.

E’ necessario prender atto del fatto che la Libia, come Paese unitario, in questa fase non esiste più. E deve farlo soprattutto l’Italia, costretta a combattere su due fronti. Il primo è proprio quello libico. Nel 2011, quando partì l’infausta e improvvisata guerra di Francia, Gran Bretagna e Usa contro Gheddafi, l’Italia era il primo esportatore verso la Libia e assorbiva quasi il 20% delle esportazioni libiche. Ancora oggi importiamo da lì il 7% del petrolio e il 9% del gas che consumiamo, il che presuppone l’impegno in loco di aziende come quella dei quattro tecnici rapiti. Se poi aggiungiamo la questione migranti, arriviamo a una conclusione: la Libia è troppo importante per noi ma noi non siamo abbastanza importanti, cioè forti e influenti, per occuparci della Libia.

E qui si apre per l’Italia l’altro fronte: l’Europa. La Ue a trazione Nord-Est ci ha mollati. Dei problemi del Mediterraneo si fa un baffo, siano essi l’Isis o i migranti. Anzi: ci usa come materasso, per ammortizzare i colpi dell’uno o degli altri. Basta guardare cos’è stato fatto per la crisi della Libia, cioè nulla, e confrontarlo con la mobilitazione generale per l’Ucraina, che ci vede impegnati a prezzo di grandi sacrifici (l’Italia, prima delle sanzioni, era il quarto partner commerciale della Russia) mentre gli altri, sulla riallocazione dei migranti (che sbarcano da noi ma mirano ai Paesi del Nord), cercano in ogni modo di disertare. Si pensi alla Polonia, che con 38,5 milioni di abitanti ne prenderà 1.100.

L’Italia ha finora tenuto botta con dignità. Lo faremo ancor meglio se eviteremo inutili confusioni. O sparate mediatiche tipo “bombarderemo i barconi”, capaci solo di generare in molti la dannosissima idea che esistano soluzioni semplici a problemi così complessi.

Pubblicato sull’Eco di Bergamo del 24 luglio 2015

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Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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