L’ondata di arresti cui si è arrivati con l’operazione “Martese”, e le perquisizioni effettuate in diversi centri nelle province di Bergamo, Grosseto e Milano oltre che in Albania, somiglia molto a quella che fu messa a segno in marzo, quando fu bloccato, tra gli altri, anche il giovane italiano di origine marocchina che aveva pubblicato in Rete un lungo documento di propaganda dell’Isis.
Le analogie sono evidenti. I fermati sono una miscela di italiani convertiti all’islam e (questa l’accusa) al jihadismo, seconda generazione, albanesi e maghrebini. Sospettati di voler organizzare attentati in Italia sono soprattutto i maghrebini, e qui si sente tutto il timore nei confronti dei cosiddetti lupi solitari, il terrorista della porta accanto come quelli che hanno più volte colpito in Francia. Agli altri si imputa la propaganda, l’arruolamento e la volontà di unirsi ai foreign fighters che già combattono in Siria e in Iraq. Nessuno di loro è arrivato in Italia con le recenti ondate migratorie: il “popolo dei barconi”, a dispetto della propaganda che li vuole infiltrati dai terroristi, non entra in queste retate.
Foreign fighters verso la Turchia
Proprio il ripetersi di certe caratteristiche, però, offre interessanti strumenti di analisi. E’ difficile immaginare che certi personaggi costituiscano una serie minaccia per l’Italia. Siamo davvero spaventati da foreign fighters come Maria Giulia Sergio detta Fatima, che faceva i suoi piccoli comizi in Tv prima di partire per la Siria con il secondo marito, l’albanese arrivato a sostituire il pizzaiolo marocchino che non si era mostrato abbastanza saldo nella fede per il Profeta? O da sua sorella Marianna e dai loro genitori convertiti all’islam in quel di Inzago, tra Milano e Bergamo, che spiccavano come mosche bianche ed infatti erano seguiti dagli investigatori fin dal 2010? Per non parlare di Elvis Elezi, il ragazzo arrestato in marzo in provincia di Torino, taciturno e discreto allievo dell’istituto tecnico.
In questi casi, più che la politica e lo spauracchio dei foreign fighters col pugnale tra i denti, potrebbero tornarci utili la psicologia e la sociologia, per capire quali terremoti interiori possano prodursi nelle sacche di non-integrazione o dis-integrazione che la grande crisi ha aperto in Italia e in tutta Europa. In questi spazi l’Isis agisce come il catalizzatore, e nelle menti dissestate, il possibile vindice di qualunque forma di frustrazione.
Questo, però, non deve farci dismettere l’importanza delle recenti operazioni di polizia. Due elementi, in particolare, devono richiamare la nostra attenzione. La costanza del legame Italia-Albania. E’ una rotta già ben nota agli investigatori che lottano contro il traffico di droga, ma si sta rivelando assai battuta anche da coloro che vanno in cerca di anime fragili da trasformare in proseliti. Anche Anas al-Abboudi, uno dei foreign fighters italiani identificati dall’inchiesta del marzo scorso, oggi combattente in Siria, aveva compiuto diversi viaggi in Albania.
L’altro elemento politico-geografico da tenere in considerazione è rappresentato dalle utenze telefoniche turche che ricorrono nell’una come nell’altra indagine. I sospetti sulla Turchia, e sulla sua compiacenza nei confronti dell’Isis e dei jihadisti, non sono certo una novità. Quella che qui si affaccia, però, è l’ipotesi di un coordinamento, per non dire una struttura, incaricata di trovare in Europa nuove reclute, foreign fighters da avviare al fronte, proprio come una volta partiva dalla Turchia la ricerca di giovani mediorientali pronti a combattere in Cecenia. In Turchia ci sarebbe il mandante, insomma, e in Albania gli esecutori. Una filiera ormai abbastanza delineata ma non per questo meno difficile da risalire.
Pubblicato sull’Eco di Bergamo del 2 luglio 2015
Segui anche “Gerusalemme, Damasco e dintorni”, il blog sul Medio Oriente di Famiglia Cristiana