TABGHA, LA POLITICA DEGLI INCENDI

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Dell’incendio doloso che ha devastato la chiesa della Moltiplicazione dei pani e dei pesci a Tabgha, sulle rive del lago di Tiberiade, si sta parlando troppo poco. Un po’ perché alcuni grandi giornali italiani hanno semplicemente ignorato la notizia. Un po’ perché questo atto, sotto le vesti dell’intolleranza religiosa, ha un cuore politico di cui non è comodo parlare.

Tabgha è un luogo di rara suggestione, come sanno migliaia e migliaia di pellegrini che ci sono passati e hanno sostato per una preghiera. Ed è un luogo centrale nella predicazione di Gesù che, com’è noto, si svolse in gran parte lungo le sponde di questo lago, che i primi israeliani chiamavano “mare” per mantenere le proporzioni con le dimensioni ridotte del loro Stato.

Però Israele, oggi, non è più quello. E’ assai più popoloso e un po’ meno piccolo, perché ha insediato parte della propria popolazione (circa 700 mila persone, ovvero poco meno di un israeliano su dieci) nei “territori occupati”. Sono quelli che i palestinesi chiamano “coloni”, gli israeliani che vivono negli insediamenti. E proprio dagli insediamenti escono i vandali che dal 2009, come testimonia l’organizzazione israeliana “Rabbini per i diritti umani”, hanno attaccato e devastato 43 luoghi di culto cristiani o musulmani. Anche la chiesa della moltiplicazione dei pani e dei pesci a Tabgha è entrata nel mirino delle stesse bande: su uno dei muri è stata tracciata in ebraico la scritta “i falsi idoli saranno distrutti”, frase tratta dall’Aleinu Le Shabeah, preghiera che gli ebrei osservanti recitano tre volte al giorno.

Tabgha e le altre

Il primo ministro Netanyahu ha usato espressioni forti nei confronti degli sconosciuti vandali di Tabgha: ha chiesto di punirli “con tutta la forza della legge”, perché “chi aggredisce una chiesa attacca tutti noi”. Non sarebbe quindi giusto dubitare della determinazione delle autorità di Israele nel perseguire i colpevoli. Allo stesso modo, però, sarebbe da sciocchi non notare che quasi mai i responsabili sono stati identificati, catturati e processati. Il che è comunque un po’ strano, in un Paese che ha un imponente ed efficiente apparato di sicurezza e di polizia. Nel 2014, appena prima che arrivasse in visita papa Francesco, a Gerusalemme erano state coperte di scritte offensive la Chiesa ortodossa rumena e il Centro Notre Dame, il grande complesso cristiano subito fuori dalla Città Vecchia. Prima ancora era stato colpita la chiesa dei francescani nei pressi del Cenacolo, l’abbazia della Dormizione e un vicino cimitero cristiano. Nel 2012, con modalità simili a quelle usate a Tabgha, era stato attaccato il monastero dei trappisti a Latrun, tra Gerusalemme e Tel Aviv. Persone processate e condannate? Zero.

Tabgha o non Tabgha, e con tutta la buona volontà, riesce un po’ difficile vedere Netanyahu nei panni di colui che persegue con accanimento i vandali religioso-politici che compiono le loro incursioni a partire dagli insediamenti. Perché Netanyahu è, da sempre, il loro (non dei vandali, ma degli insediamenti) sostenitore numero uno. Quando Ariel Sharon decise di abbandonare Gaza, nel 2004, Netanyahu lasciò il suo Governo in segno di protesta. Negli ultimi vent’anni la superficie occupata dagli insediamenti israeliani nei “territori occupati” è cresciuta di oltre il 180%, e per almeno metà di questo periodo Netanyahu è stato primo ministro. E l’ultimo atto del precedente Governo Netanyahu, quello che ha portato al disfacimento del governo e alle elezioni anticipate, è stata proprio l’approvazione della legge che definisce Israele “Stato della nazione ebraica”, con una potenziale discriminazione ai danni delle minoranze etniche e religiose.

Tutta l’azione politica di Netanyahu, insomma, è stata a favore della strategia degli insediamenti. Lui ne ha tratto un consenso politico sempre crescente, anche ai danni degli alleati. Ma la realtà è che oggi sono i cosiddetti “coloni” a dettare il passo politico di Israele. Sono le loro esigenze a influenzare l’agenda dei Governi. E’ l’intransigenza di chi tiene la prima linea, anche rischiando la vita, quella da rispettare. Il resto, incendi compresi, non è che conseguenza.

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Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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