Mikhail Saakashvili (o Mikheil Saak’ashvili per i puristi della traslitterazione non del russo ma del georgiano), 48 anni, di nazionalità georgiana e americana, già presidente della Georgia (quella ex sovietica) dal 2004 al 2013, è stato nominato governatore della regione di Odessa, in Ucraina, dal presidente dell’Ucraina Poroshenko. Appena prima di assumere la carica, Saakashvili ha preso la cittadinanza dell’Ucraina e, per via delle leggi georgiane, ha perso in automatico quella del Paese dov’è nato e che ha a lungo governato.
Se civili e militari non morissero ogni giorno nel Donbass, se non ci fosse una crisi gravissima aperta nel cuore dell’Europa, se l’Ucraina non fosse il grande Paese che è, potremmo forse farci due risate su notizie come questa. La nomina di Saakashvili alla guida della regione di Odessa, che fronteggia la Crimea occupata dai russi, è un palese tentativo di buttare benzina sul fuoco: Saakashvili, infatti, è il presidente che portò la Georgia alla guerra contro la Russia nel 2008, con esiti ovviamente disastrosi per il proprio Paese. E se anche non ci fosse questo precedente, tutt’altro che beneaugurante, che ci fa un georgiano in un incarico di governo in Ucraina? Daremmo la cittadinanza italiana a un finlandese per nominarlo, due ore dopo, governatore della Sicilia?
Saakashvili e gli Usa
D’altra parte, la nomina di Saakashvili chiarisce a chi proprio non vuole capire qual è la trama vera degli eventi in Ucraina. Saakashvili, che studiò alla Columbia University grazie a un grant benevolmente concesso dal Dipartimento di Stato Usa, è un politico a noleggio, un mercenario a disposizione degli Stati Uniti. E’ l’esatto equivalente di ciò che Viktor Janukovich, il Presidente ucraino cacciato dalla rivolta di Maidan, era per la Russia di Vladimir Putin.
Il suo ingaggio come governatore della regione di Odessa si muove sulla stessa linea politica che ha portato al Governo di Kiev altri tre stranieri: l’americana Natalie Jaresko (ministro delle Finanze), il georgiano Aleksandr Kvitashvili (ministro della Sanità) e il lituano Aivaras Abromavicius (ministro dell’Economia), anche loro gratificati della cittadinanza appena prima di essere insediati nei rispettivi ministeri. La Jaresko ha lavorato a lungo per i Dipartimento di Stato Usa, ed è stata a lungo anche incaricata d’affari nell’ambasciata americana a Kiev. Kvitashvili fu ministro della Sanità nel 2008-2010 nel primo Governo formato in Georgia da Saakashvili. Abromavicius è un banchiere privato lituano, rappresentante di un gruppo internazionale con forti interessi in Ucraina.
Insomma, per farla breve. La crisi di Maidan e quel che ne è seguito sono un’altra delle operazioni che gli Usa hanno messo in campo, dopo il crollo dell’Urss, per occupare politicamente, economicamente e anche militarmente quello che una volta era lo spazio (politico, economico e militare) dell’influenza russa. In Ucraina ci avevano già provato con la famosa Rivoluzione Arancione del 2004, finita male per l’inconsistenza politica dei vari Juscenko e Tymoshenko. Nel 2014, con Maidan, l’operazione è riuscita meglio, anche perché il filo-russo Janukovich aveva fatto di tutto per scontentare gli ucraini.
Il problema, per gli americani e per gli ucraini, è che con questo si è arrivati a toccare non lo spazio di influenza ma gli interessi vitali della Russia, dai gasdotti alle rotte commerciali, dalle basi navali della Crimea allo sbocco sui mari caldi. E questo il Cremlino di Vladimir Putin non poteva subirlo passivamente, soprattutto dopo che nel 2008, installando lo scudo stellare in Polonia, gli Usa si erano già assicurati l’impunità in caso di primo colpo nucleare.
Di fronte alle difficoltà, Barack Obama e i suoi hanno deciso di inviare dei proconsoli di tutta fiducia. I tre ministri nel ruoli-chiave del governo, ora Saakashvili nell’immediata retrovia dello scontro del Donbass. Quei proconsoli che il docile Poroshenko si affretta a naturalizzare.
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