In quel deserto di idee e strategie che è la politica estera dell’Unione Europea, la diserzione rispetto alla parata che, a Mosca, celebra i settant’anni dalla vittoria sulla Germania nazista verrà ricordata come uno degli errori più clamorosi. E anche più grotteschi, se l’immagine della tribuna vuota di leader europei sarà poi accostata a quella dei vari premier e ministri, dalla Merkel al nostro Gentiloni, che a Mosca comunque ci vanno: a portare corone ai caduti un po’ di nascosto, quasi vergognosi, forse timorosi dei rimbrotti di Obama. Come se fosse possibile scindere i nipoti dei caduti russi, e le loro memorie personali e collettive, dall’uomo che oggi li rappresenta, Vladimir Putin, e dalle sue azioni.
Questa specie di schiaffo diplomatico è, infatti, un boomerang: voleva colpire il Cremlino ed è, al contrario, il più grosso regalo politico che gli si potesse fare. C’è una ragione, oltre all’orgoglio nazionale o nazionalistico, se i russi chiamano “grande guerra patriottica” quella che per il resto del mondo è la seconda guerra mondiale. Influenzati da una narrazione storica elaborata in piena guerra fredda per contenere e, se possibile ridurre, l’eventuale ammirazione per la Russia comunista e stalinista, gli europei sono cresciuti sottovalutando certi dati. Dei 70 milioni di morti, civili e militari, provocati da quella guerra, almeno 23 milioni furono russi (tutti i caduti Usa furono 415 mila). La gran parte dei soldati nazisti furono uccisi in battaglia dai russi. Berlino fu liberata dai russi. Il lager di Auschwitz fu liberato dai russi. E così via.
I russi e l’Europa
Ricordare tutto questo non vuol dire, ovviamente, rivalutare Stalin, i suoi crimini, i delitti commessi dal suo regime ai danni di altri popoli della stessa Urss (si pensi all’Ucraina della carestia di Stato dei primi anni Trenta, per esempio) o di altri Paesi. Ma, appunto, la Storia è Storia. Per tutti e per tutto.
I russi queste cose le sanno bene, molto meglio di noi. Si sono giustamente sdegnati quando hanno letto i risultati di una ricerca elaborata dall’istituto inglese ICM Research. Dalle interviste condotte in Germania, Regno Unito e Francia è emerso che solo il 13% degli europei considera “di grande importanza” il ruolo giocato dai russi per arrivare alla vittoria in Europa sul nazismo. Con un massimo del 17% in Germania e un minimo dell’8% in Francia. Poi hanno registrato con stupore e sarcasmo le uscite di alcuni dei nuovi prediletti dell’Europa, come il premier ucraino Yatsenyuk, che ha parlato di “invasione sovietica della Germania”, o come il ministro degli Esteri della Polonia, Grzegorz Schetyna, che ha sostenuto che Auschwitz fu liberato dagli ucraini (come se questi, nel 1945, fossero già stati indipendenti). Ora il rifiuto alla parata dei leader europei è vissuto come un insulto, né più né meno. Rivolto a loro, non a Putin.
Il quale incassa e ringrazia. Il sostegno nazionalista si rinforza. E i suoi critici, fautori di una migliore intesa con l’Occidente, ancor più facilmente andranno incontro all’accusa di tradire la Patria. Tirare un po’ la cinghia per sostenere la riannessione dell’Ucraina? Nessun problema. Investire nel riarmo? Giusto. Stringere un’alleanza strategica con la Cina e con la Turchia, Paesi con cui la Russia in passato ha soprattutto guerreggiato? Inevitabile, visto come americani ed europei ci trattano, anzi: ci aggrediscono. Il Cremlino di Putin è quel che è ma l’Europa, dalle strategie sui migranti al rapporto con la Russia, ha perso la bussola. E non la ritroverà finché non si affrancherà dai fantasmi dei Paesi del Nord o usciti dall’Urss. Anche comprensibili, ma molto più interessati a compiacere Washington che a far funzionare Bruxelles.
Pubblicato su Avvenire del 10 maggio 2015
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