DA ASIA BIBI ALLE RAGAZZE DI BOKO HARAM

boko haramUna manifestazione per la liberazione dele ragazze rapite da Boko Haram in Nigeria.

La persecuzione globale contro i cristiani, che con tanta forza ed efficacia papa Francesco ha riportato all’attenzione di un mondo fin troppo distratto, ci interpella con la folla degli assenti. Sono le migliaia di uomini e donne che ogni giorno scompaiono perché privati, prima ancora che della vita, dei più elementari diritti, della dignità, della fisionomia personale e sociale che ci è data con la nascita e con l’inserimento in una comunità ed è patrimonio inalienabile di qualunque essere umano.

Proprio in queste ore abbiamo avuto sotto gli occhi due esempi clamorosi. In Nigeria è stato ricordato l’anniversario del rapimento, da parte dei terroristi di Boko Haram, delle 219 studentesse (in realtà 276, ma 57 riuscirono a fuggire) di Chibok. E in Italia sono arrivati Ashiq Masih, il marito di Asia Bibi, e una delle loro figlie, che oggi vedono il Papa e poi proseguiranno per altre città d’Europa.

C’è un nesso stretto tra le ragazze nigeriane e la mamma pakistana, per la cui sorte Avvenire in tutti questi anni ha continuato a battersi. Il rapimento delle prime destò l’indignazione del mondo e una campagna di solidarietà che mobilitò i social network e personaggi universalmente noti, a partire da Michelle Obama. Un anno dopo, nessuno ha dimenticato ciò che Boko Haram ha fatto ma altre tragedie ci hanno riempito gli occhi e la sorte delle studentesse non occupa più le prime pagine. Le ragazze sono scomparse nelle impenetrabili foreste del Nord Est della Nigeria dove i terroristi hanno le loro basi, e Boko Haram addirittura si vanta di averle date in spose con la forza o di averle costrette a partecipare ad alcuni dei suoi attacchi. Da un anno il governo nigeriano promette azioni e interventi poi mai realizzati.

Boko Haram e lo Stato pakistano

Anche Asia Bibi è stata rapita. Prima, con la violenza, da una legge anti-blasfemia brandita come una clava con cui intimidire le minoranze e accompagnare le peggiori pulsioni della maggioranza islamica del Pakistan, che l’ha portata alla condanna a morte e alla soglia dell’esecuzione. Poi, con violenza non minore ma appena mascherata, da un sistema giudiziario che si è trasformato in labirinto per sfuggire al dilemma che lo corrode dall’interno: eseguire la condanna che esso stesso ha emesso, ed esporre il fanatismo persecutorio che la ispira; o fare marcia indietro, e trovare il coraggio di affrontare lo stesso fanatismo prima così a lungo blandito.

In un modo o nell’altro, come gruppo o come individui, in troppi Paesi e troppo spesso i cristiani e il loro diritto a esistere sono tenuti sotto sequestro. Nei casi “migliori” si vuole farli diventare invisibili. In molti altri, come nel califfato vagheggiato dall’Isis o nell’Africa di Boko Haram, farli scappare o addirittura eliminarli. Ed è giusto, anzi è doveroso, che di queste identità sequestrate si dia, oggi, una rappresentazione fisica. Come ad Abuja, capitale della Nigeria, dove 219 ragazze sono sfilate per le strade per ricostruire la presenza delle ragazze assenti. E come in queste capitali d’Europa dove il marito e la figlia di Asia Bibi ci dicono, con il solo fatto di esserci e di essere visti, che anche la loro sposa e madre c’è, esiste ancora, ha fede, anche se è chiusa nel ventre della bestia.

I cristiani ci sono, anche laddove sono pochi. E vogliono esserci, nelle nazioni che hanno contribuito a creare e a far crescere, nelle culture a cui hanno tanto contribuito, nelle società di cui sono parte integrante da secoli, a volte da molto prima dei loro attuali persecutori. Le ragazze nigeriane e la mamma pakistana possono quindi diventare la scintilla di una consapevolezza nuova: quella di quanto sia decisivo difendere i diritti dei cristiani per promuovere i diritti di tutti in una lunga serie di Paesi dove la legge è, ancora e troppo spesso, solo uno strumento per il volere della maggioranza. E avviare con essi relazioni più aperte e moderne, sganciate dalla mera logica degli interessi economici globalizzati, per cui tutto è permesso al cliente purché continui a fare gli interessi del padrone.

Pubblicato su Avvenire del 15 aprile 2015

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Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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