EBREI D’EUROPA, NETANYAHU VI CHIAMA

ebreiIl premier israeliano Netanyahu con il presidente francese Hollande.

Sta facendo discutere, anche ai più alti livelli della politica, la dichiarazione del premier israeliano Benjamin “Bibi” Netanyahu il quale, dopo il duplice attentato di Copenhagen (la sparatoria contro un caffè e contro una sinagoga) e la profanazione di un cimitero ebraico a Sarre-Union (Francia), come già dopo le stragi di Parigi, ha detto: “Gli ebrei vengono uccisi in Europa solo perché sono ebrei, questa ondata di attacchi continuerà. Io dico agli ebrei d’Europa: Israele è la vostra casa”.

In sostanza, un appello affinché gli ebrei che vivono in Europa si trasferiscano in Israele dove, a detta di Netanyahu, potrebbero vivere più sicuri. Appello rincarato dal ministro degli Esteri di Israele, Avigdor Lieberman, che a sua volta ha detto:   “È il momento di prendere una decisione e di fare aliya e venire in Israele. Con tutto il rispetto per le comunità ebraiche, sapete esattamente cosa succede al giorno d’oggi con l’assimilazione, non solo con anti-semitismo e attacchi terroristici”.


A Netanyahu e Lieberman hanno risposto molte personalità europee, con diversi toni e sfumature.  Helle Thorning-Schmidt, primo ministro della Danimarca, ha detto: “La comunità ebraica è stata in questo Paese per secoli, appartengono alla Danimarca, sono parte della comunità danese e non sarebbe lo stesso senza la comunità ebraica in Danimarca“. Angela Merkel, cancelliere della Germania, ha ribadito che “i cittadini di religione ebraica e le loro infrastrutture e imprese sono ben protette in Germania”. Il premier francese Manuel Valls è forse stato il più duro: “Anche se si è in campagna elettorale, questo non significa lasciarsi andare a qualsiasi dichiarazione. Il posto degli ebrei francesi è la Francia”.

Gli ebrei e la aliya

Diciamo a parte degli atti di antisemitismo in Europa negli ultimi anni e del senso di insicurezza che cresce nelle comunità ebraiche del Continente. Qui vale la pena di approfondire alcuni aspetti della polemica che rischiano di rimanere oscuri per i “non addetti ai lavori”.

E’ un po’ strano che sia proprio Netanyahu a invitare gli ebrei d’Europa a trasferirsi in Israele per stare al sicuro. Strano perché forse nessun politico ha premuto come lui sul pedale della “insicurezza” di Israele, nessuno ha tanto insistito come lui sul fatto che Israele è circondato e minacciato da ogni lato. Sono lui e i suoi seguaci politici a insistere, ancora oggi, sul fatto che bisogna attaccare l’Iran, che vuole le armi atomiche per estinguere Israele. Insomma, per dirla un po’ brutalmente: l’Israele che descrive Netanyahu non sembra affatto più sicuro dell’Europa, per gli ebrei.

Ma forse, tra tante bombe di cui si parla, la bomba antiebraica che Netanyahu più teme è quella demografica. Il tasso di natalità degli arabi è ancora leggermente superiore a quello degli ebrei ma nel 2012 un censimento di parte israeliana stabilì che tra il fiume Giordano e il Mediterraneo, il 66% della popolazione è composto di ebrei. Una maggioranza che i politici dello Stato ebraico ritengono vitale e da conservare. Per primo proprio Netanyahu che già nel 2003, coniando appunto il termine “bomba demografica” lanciò l’allarme in questo senso.

Tale maggioranza è stata mantenuta (e veniamo al tema introdotto dal ministro Lieberman) soprattutto dalla aliya (in ebraico: salita), cioè dal trasferimento in Israele di ebrei che vivevano altrove. L’aliya è regolata dalla cosiddetta “Legge del ritorno” approvata nel 1950,emendata nel 1954 e, in modo ancor più significativo, ampliata (per stabilire che “questo diritto riguarda anche il figlio e il nipote di un ebreo, il coniuge di un ebreo, il coniuge di un figlio o di un nipote di un ebreo”) nel 1970.

L’aliya è appunto un diritto, non un dovere. E infatti vivono fuori Israele più ebrei (circa 7 milioni e mezzo) di quelli che vivono in Israele (meno di 6 milioni). L’aliya ha conosciuto i suoi momenti di massima intensità in coincidenza con crisi profonda in altri Paesi: dopo la seconda guerra mondiale (quindi, prima della nascita di Israele nel 1948); dopo i pogrom, le espulsioni e le partenze che, in molti Paesi del Medio Oriente, spinsero gli ebrei a fuggire verso Israele; nel 1979, quando la carestia in Etiopia e l’ostilità del Governo del Sudan, mise a rischio i falasha (popolazione etiope di religione ebraica) e spinse Israele a organizzare il famoso ponte aereo per salvarli; nei primi anni Novanta, con il crollo dell’Urss, quando l’arrivo di un milione di ebrei russi fece crescere di colpo del 20% la popolazione di Israele.

In mancanza di circostanze straordinarie, l’aliya è fatta di piccoli numeri. Nel 2013 sono arrivati in Israele meno di 17 mila ebrei immigrati. Per fare un paragone: nel 1990, con la crisi dell’Urss, erano stati quasi 200 mila. Si spiegano forse anche così, più che con le elezioni politiche previste per il 17 marzo a cui fa cenno il premier francese Valls, le parole di Netanyahu e Lieberman.

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Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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