KURDISTAN E PETROLIO, LA COPPIA SCOPPIA

petrolioLa cittadella di Erbil (Kurdistan).

Da Erbil (Kurdistan) – Il capoluogo del Kurdistan ricorda uno di quegli atleti fotografati mentre spiccano un salto o calciano il pallone. Dà l’idea, insomma, di uno slancio bloccato proprio mentre si stava sviluppando. Ovunque, in città, spuntano le strutture di palazzoni, alberghi, centri commerciali, blocchi residenziali. Le strutture, appunto, perché questi edifici non sono mai stati finiti, a causa della crisi arrivata all’improvviso. Colpa dell’Isis? anche. Ma colpa soprattutto del petrolio. Il petrolio, come sempre e ovunque. In Kurdistan ce n’è un mare (le stime parlano di riserve accertate per 45 miliardi di barili) e i 250 mila barili estratti finora ogni giorno sono solo la dimostrazione di quanto il Kurdistan, che non ha nemmeno una vera raffineria, potrebbe fare se debitamente attrezzato. Però… Il Kurdistan non è uno Stato indipendente, è una regione dell’Iraq, per quanto dotata di larghi tratti di autonomia. Così, il suo petrolio dovrebbe essere conferito alla compagnia petrolifera di Stato irachena (presumibilmente la North Oil Company, perché l’Iraq di compagnie petrolifere ne ha altre tre: South Oil Company, Maisan Oil Company e Midland Oil Company) sotto il controllo del ministero del Petrolio del Governo centrale di Baghdad.

Petrolio e boom economico

Questa la teoria. Nella pratica, la vecchia rivalità tra “centro” e “periferia”, ovvero tra Baghdad e il Kurdistan, sempre latente, è esplosa nell’ultimo periodo del governo di Nur al-Maliki, lo sciita poi sostituito dal collega di partito Haidar a-Abadi ma comunque rimasto come vice-presidente. Baghdad accusava i curdi di vendere il petrolio per conto proprio alla Turchia e all’Iran, che per le autobotti sono in effetti a poche ore di strada, e aveva forse ragione. I curdi accusavano Baghdad di tutta una serie di altre cose, anche queste in gran parte vere: dalla scarsità dei fondi stanziati per le opere pubbliche in Kurdistan al mancato mantenimento dei reparti di peshmerga, baluardo per la difesa del Nord Iraq ma anche molto renitenti a dar retta agli ordini dei generali arabi.

Su tutto, poi, l’eterna disputa sul destino di Kirkuk, il grande centro ora spesso attaccato dall’Isis, città di pozzi e di raffinerie da sempre abitata in prevalenza da curdi ma poi sottoposta da Saddam Hussein a una brutale campagna di arabizzazione. Dopo la caduta del tiranno fu stipulato un accordo che, dopo alcune tappe (in sostanza, ritorno verso Sud, con buoni incentivi economici delle famiglie arabe che avessero accettato lo spostamento), prevedeva un referendum sull’accorpamento della città all’Iraq centrale o al Kurdistan. Referendum che non si è mai tenuto per i soliti dissidi politici di cui sopra.

Risultato: il Governo di Baghdad ha smesso di girare al Kurdistan la sua quota del budget nazionale, generato in gran parte dagli introiti del petrolio Il che è avvenuto qualche mese prima che l’Isis, partendo dalla Siria, scatenasse la sua invasione dell’Iraq, conquistando terreno fino a minacciare la stessa integrità del Kurdistan. che di colpo si è trovato senza soldi, col nemico alle porte e con le spese per la difesa (e per il mantenimento di 2 milioni e mezzo di profughi) a devastare il bilancio. La notizia positiva, in questo gran pasticcio, è che il pericolo costituito dall’Isis (e il cambio di premier a Baghdad) hanno spinto tutto i protagonisti a metter da parte, almeno per il momento, le vecchie rivalità. Il Governo centrale e quello del Kurdistan hanno stipulato il seguente patto: da Erbil andranno verso Baghdad 500 mila barili di petrolio al giorno (non poco, se pensiamo che l’Iraq in totale produce 3,3 milioni di barili di petrolio al giorno); da Baghdad partirà verso Erbil il 17% degli introiti nazionali del petrolio.

Certo, resterà la guerra co l’Isis da vincere. Ma la speranza dei curdi, se il patto con Baghdad resisterà alle tensioni politiche, è di poter tornare prima o poi all’impressionante boom economico che si era prodotto negli ultimi tre-quattro anni e che aveva richiamato a Erbil non solo tutte le grandi compagnie del petrolio ma decine di aziende occidentali. Irresistibilmente attratte verso un Paese dove che deve importare tutto (tranne, appunto, il petrolio), dove l’Iva non esiste e dove la denuncia dei redditi, più che un obbligo, è un patteggiamento.

Riproduzione riservata 2015

Primo post da Erbil (Kurdistan): “Peshmerga: morire contro l’Isis per l’Iraq?”

Terzo post da Erbil (Kurdistan): “Profughi in Kurdistan, salviamoli dall’Isis”

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Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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