Da Erbil (Kurdistan) – L’entusiasmo per la vittoria a Kobane, la città curda in territorio siriano a lungo assediata dall’Isis, si è dissolta in un paio di settimane. Il tempo di vedere i miliziani dell’Isis tornare all’assalto, più determinati che mai, e di realizzare quanto abbiano ragione coloro che predicono un cammino ancora lungo e aspro prima della vittoria finale. Insomma, se non è un’emergenza, è qulcosa che le somiglia.
Questa sensazione di brusco risveglio è particolarmente viva a Erbil, capoluogo del Kurdistan se pensiamo alla regione come a una parte dell’Iraq, capitale se invece ci caliamo nella mentalità dei curdi (che sognano uno Stato autonomo) e nella realtà dei fatti, perché il potere del Governo centrale di Baghdad ha ormai poca presa sul Kurdistan. Rispetto al pericolo Isis, Erbil è considerata imprendibile. Perché qui la concentrazione di peshmerga (l’esercito di autodifesa del popolo curdo) è molto alta. Ma anche perché, essendo il Kurdistan ricco di gas e petrolio, e avendo una sede in città tutte le maggiori aziende petrolifere del globo, gli americani non permetterebbero mai il tracollo. Questo, ameno, è quanto si dice qui.
Kurdistan, le minacce del mullah
Resta però il fatto che il nervosismo sta crescendo, e non è difficile notarlo. Nessuno, come dicevamo, si aspettava che l’Isis tornasse all’offensiva in modo tanto massiccio. Gli attacchi sono stati intensi e sparsi su diversi punti del fronte, da Nord a Sud: i miliziani islamisti hanno messo a rischio una città fondamentale come Kirkuk (“capitale” delle raffinerie di petrolio dell’Iraq), hanno ucciso due generali e preso prigionieri decine di peshmerga. Alla tradizionale “cattiveria” sul campo di battaglia, i combattenti dell’Isis aggiungono un uso piuttosto astuto dei media. Da ieri circola su Internet un video in cui un mullah, un curdo che ha predicato per molti anni a Erbil prima di arruolarsi nell’Isis, minaccia la città: siatene certi, dice, stiamo arrivando, prenderemo la città. Minacce forse vuote, ma il personaggio è noto in città e per tranquillizzare la gente i peshmerga hanno dovuto raddoppiare check point e controlli.
Altro punto: tutti davano per scontata un’offensiva Isis in estate, ora gli esperti dicono che i mesi davvero difficili arriveranno prima, saranno marzo e aprile. Perché? Fatti e rifatti i conti, stanno tirando un bilancio più pessimistico delle forze in campo. Secondo loro, infatti, l’Isis non ha ancora giocato, a livello di mezzi e armamenti, tutte le carte di cui dispone. Quando occuparono la città di Mosul, infatti, i miliziani avrebbero dovuto vedersela con le quattro divisioni (40 mila uomini) là dislocate dal Governo di Baghdad. I soldati dell’esercito regolare iracheno, però, se la diedero subito a gambe, lasciando dietro di sè strutture, armi, mezzi corazzati e non.
I soldati iracheni non erano pagati da mesi. In più, molti di loro erano sunniti, quindi con pochissima simpatia per gli sciiti al potere in Iraq sotto la guia di Nur al-Maliki. Resta il fatto che a causa della loro fuga l’Isis si trovò bell’e pronto un formidabile arsenale.
Anche perché si è scoperto che i miliziani islamisti non hanno ancora usato tutto il loro potenziale di fuoco. Si capisce oggi che disastro sia stato perdere la città di Mosul. Vi erano di stanza quattro divisioni dell’esercito iracheno: 40 mila uomini che non ricevevano la paga da mesi e che sono scappati a rotta di collo appena gli islamisti si sono fatti vedere, lasciando dietro di se mezzi, armi e munizioni.
Ma il punto forse più critico è lo stato d’animo dei curdi, e in particolare dei peshmerga. Intanto perché questa forza armata, considerata la spina dorsale della fierezza nazionale curda, non è più così impenetrabile: è stato scoperto un gruppo di alti ufficiali che vendeva armi propri a quelli dell’Isis, cosa che ha destato scandalo e insinuato un brivido di insicurezza. E poi, tra i peshmerga dilaga il malumore. Dicono: per difendere il Kurdistan siamo pronti a tutto, ma siamo stufi di combattere e morire per difendere gli altri. Altri che sono: gli iracheni arabi sunniti perché sospettati di ignavia se non di connivenza con l’Isis. Gli iracheni sciiti, perché identificati con il regime di Baghdad, con cui i rapporti sono stati pessimi ai tempi di Nur al-Maliki e appena accettabili ora con Haider al-Abadi, che peraltro viene dallo stesso partito di Al-Maliki. E poi i cristiani, gli yazidi, i siriani, per i cui profughi c’è molta comprensione e simpatia che però stenta più di prima a trasformarsi in sacrificio sul campo di battaglia.
Non deve sembrare un atteggiamento meschino. Al contrario, c’è chi da loro ragione anche dalla sponda “opposta”. Ieri sera, alla Tv curda, è comparso un deputato arabo sunnita di Kirkuk, che ha lungamente spronato i “suoi” e le altre componenti della popolazione irachena, dicendo in sostanza che i peshmerga sono gli unici che combattono davvero contro l’Isis e che le altre componenti della popolazione irachena devono darsi una svegliata e smettere di credere che a tutto possano provvedere le milizie curde.
E’ una frattura politica e militare tra Kurdistan e resto dell’Iraq che potrebbe avere conseguenze disastrose. L’Isis sembra averlo capito e infatti lancia i suoi attacchi tutto intorno al Kurdistan vero e proprio. Come a dire: non è con voi curdi che ce l’abbiamo, statene fuori.
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