OSTAGGI: PAGARE PER TUTTI O PER NESSUNO?

ostaggiGreta e Vanessa con il ministro Gentiloni dopo la liberazione.

La liberazione di Greta e Vanessa ha scatenato una discussione che, con un pallido eufemismo, possiamo definire accanita. Più giusto sarebbe dire “feroce”, almeno in molte sue declinazioni, complice anche il fatto che sia avvenuta quando l’emozione e lo sdegno per le stragi islamiste di Parigi sono ancora altissimi. Ciò che più colpisce, però, è la natura paradossale del dibattito: fondato su ottime ragioni ma quasi completamente scentrato rispetto alle situazioni concrete. Quel che dovremmo chiederci non è se sia stato giusto trattare (e forse pagare) per ottenere la liberazione delle due ragazze ma se sia giusto trattare con i terroristi ed eventualmente pagare per ottenere la liberazione degli ostaggi. Tutti i terroristi e tutti gli ostaggi.

In campo internazionale sappiamo bene come vanno le cose. Gran Bretagna e Stati Uniti rifiutano persino l’ipotesi di trattare con i terroristi. E se ne prendono tutta la responsabilità. Quando gli ostaggi americani, prigionieri dell’Isis, stavano per essere sgozzati e le loro famiglie imploravano un intervento della Casa Bianca per salvarli, il segretario di Stato John Kerry apparve in Tv per ribadire che nessun patteggiamento era possibile. Senza se e senza ma e prendendosene tutta la responsabilità politica e morale. E i prigionieri furono uccisi. Le autorità della Francia, al contrario, trattano sempre e con tutti, pur di riportare a casa i loro concittadini. In Medio Oriente e altrove: nell’ottobre del 2013 fu il presidente Hollande in persona ad annunciare con soddisfazione l’avvenuta liberazione, dopo lunghi contatti con i rapitori, di tre ostaggi francesi ch’erano stati sequestrati in Niger tre anni prima.

Ostaggi riportati a casa

L’Italia come dovrebbe regolarsi? Finora abbiamo sempre trattato, portando a casa molti ostaggi ma pagando: forse con il denaro, di certo con la vita del funzionario del Sismi Nicola Calipari, ucciso in Iraq nelle fasi finali del sequestro di Giuliana Sgrena. Ma in futuro che cosa dovremmo fare?  Trattare e acconciarsi nel caso a versare riscatti? Oppure non trattare e assistere a qualche esecuzione di italiani su You Tube o in diretta Tv?

Gli svantaggi della prima posizione sono sotto gli occhi di tutti: i riscatti pagati finanziano altro terrorismo, in sostanza si ritorcono contro di noi. Ma quelli della seconda ipotesi? Negli Usa tutti i partiti sostengono la “linea dura”, anzi: sono semmai disponibili (ed è da poco successo in Siria) a rischiare altre vite americane per organizzare missioni militari che puntano alla liberazione degli ostaggi con la forza.

Noi saremmo disposti a tanto? Avremmo la stessa compattezza? Si può dubitarne: all’epoca delle Brigate Rosse e del rapimento Moro eravamo molto divisi, appunto tra un “partito della fermezza” e un “partito della trattativa”. E nessuno considerò stupefacente la cosa, a tutti sembrò naturale che sorgessero opinioni diverse su una questione tanto delicata. Perché non dovremmo dividerci domani, al momento di decidere se trattare o meno (e pagare o no) per salvare la vita a ostaggi come padre Paolo Dall’Oglio, prigioniero in Siria dal 29 luglio 2013, o del cooperante Giovanni Lo Porto, rapito nel Punjab (Pakistan) addirittura il 19 gennaio 2011?

A meno che, ovviamente, non si abbia in mente una specie di lotteria della morte e della vita, scegliendo di volta in volta se trattare o non trattare in base alla personalità degli ostaggi, alle circostanze del sequestro, alla maggioranza politica in quel momento al Governo, magari anche al prezzo del riscatto. Ipotesi che mette i brividi anche solo a scriverla.

Prendersela con Greta e Vanessa senza prima rispondere a queste domande non ha molto senso. E sempre meno ne avrà, in un mondo in cui i collegamenti sono sempre più facili e i Paesi, anche quelli in guerra, sempre più comunicanti tra loro. Qualche tempo fa, un esperto calcolò che in tre mesi un ragazzo arruolato dall’estremismo islamico poteva passare dalla sua normale vita in Europa a essere un miliziano in Siria dell’Isis, inquadrato in un reparto militare, stipendiato, alloggiato e maritato. Se vogliamo vincere questa battaglia, quindi, sarà meglio chiarirsi il più possibile le idee, senza accontentarsi di capri espiatori di comodo.

Pubblicato sull’Eco di Bergamo del 17 gennaio 2015

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Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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