TERRORISMO: SE BASTASSE DIRE ISLAM…

terrorismoLa polizia francese nel villaggio dove sono stati uccisi i fratelli Kouachi.

Sono giorni di terrorismo in cui, com’è inevitabile e anche giusto, il dolore e la retorica s’intrecciano quasi senza soluzione di continuità. Ha ragione chi ha scritto che la strage di Parigi è l’11 settembre dell’Europa. E lo è, anche se gli attentati di Madrid 2004 (191 morti) e Londra 2005 (52 morti) furono assai più pesanti e sanguinosi, perché mai come oggi l’incubo jihadista ci è parso vicino e tangibile. Proprio per questo, però, bisogna stare attenti a non cadere nella trappola delle semplificazioni di comodo. Anche se il terrorismo che ci minaccia è, di fatto, quasi solo islamista, dire “islam” non basta a riassumerlo e ci aiuta in misura solo parziale a contrastarlo. Partiamo proprio dai fratelli Kouachi, gli assassini che hanno colpito Charlie Hebdo. Definirli islamisti è giusto ma non basta: i due, nati a Parigi e cittadini francesi, hanno maturato la scelta del terrorismo nel brodo di coltura di quelle banlieu (periferie) francesi che nell’autunno del 2005 si erano ribellate con violenza, costringendo il Governo a dichiarare per mesi lo stato d’emergenza. La loro sanguinosa scorreria, ci piaccia o no, è islamista ma anche francese.

Terrorismo e jihad

Cambiamo quadro, ecco altri due nomi: Sofian Chourabi e Nadhir Ktari. Quasi nessuno sa chi sono, la loro morte si è persa nel clamore dei fatti di Parigi. Erano due giornalisti tunisini, entrati in Libia per raccontare la guerra civile di quel Paese. Sono stati rapiti e poi decapitati da Ansar al-Sharia, una milizia islamista che si proclama fedele al califfato istituito da Al Baghdadi tra Siria e Iraq. Ma, anche qui: Ansar al-Sharia è un gruppo dedito al terrorismo nato in Libano durante la guerra civile degli anni Ottanta ed è comparso in Libia solo dopo la caduta e uccisione di Gheddafi, il cui regime fu abbattuto da una guerra dichiarata da una coalizione di Paesi occidentali. Non solo: Ansar al-Sharia è presente anche in Tunisia, e cioè il Paese islamico che più di ogni altro, dopo la Primavera araba, ha dato prova di moderazione, riformismo e democrazia. Se facciamo passare uno a uno i Paesi in cui il terrorismo jihadista è più presente, dalla Siria all’Iraq, dal Libano all’Egitto, vedremo che in ognuno è quasi impossibile distinguere le ragioni “locali” da quelle generali, internazionali. Le prime sono per noi spesso oscure. Quanto sappiamo davvero, per esempio, del terrorismo islamico e tribali che ha già ucciso decine di soldati e poliziotti egiziani nel Sinai? E di Boko Haram, la setta islamica che ha ormai precipitato la Nigeria in un vera guerra civile? Con quei massacri vuole instaurare la legge islamica in un Paese per metà cristiano o vuole piuttosto impadronirsi di un pezzo di territorio con gli annessi pozzi di petrolio? Le seconde ragioni, quelle a noi più evidenti, sono appunto quelle che si raccolgono sotto la bandiera dell’islam. Una bandiera, appunto, un’affiliazione, un’identità. Per i terroristi un modo per riconoscersi e farsi riconoscere. Cioè, per attingere a quelle generose riserve di denaro e armi che finanziatori compiacenti e Paesi spesso solo fintamente moderati mettono a disposizione della battaglia ideologica che chiamano jihad. Del terrorismo. Ma è proprio l’incrocio dei due fattori, locale e internazionale, a rendere particolarmente pericolosa questa nuova leva del terrorismo islamista. Dobbiamo dunque avere coscienza che potremo vincere questa battaglia non solo proteggendoci in casa nostra e non solo proteggendoci dall’islam. Ma imparando a interpretare i drammi di tanti Paesi di Medio Oriente, Africa e Asia e studiando il modo in cui l’islam riesce a essere la copertura perfetta per tante guerriglie diverse. Pubblicato sull’Eco di Bergamo del 12 gennaio 2015 Segui anche “Gerusalemme, Damasco e dintorni”, il blog sul Medio Oriente di Famiglia Cristiana

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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